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Who is Dayani Cristal?


Regia:Silver Marc

Cast e credits:
Soggetto: Gael García Bernal, Marc Silver; sceneggiatura: Mark Monroe; fotografia: Marc Silver, Pau Esteve Birba; musiche: Leonardo Heiblum, Jacobo Lieberman; montaggio: Martin Singer, James Smith-Rewse; effetti: Martin Karlsson; interprete: Gael García Bernal; produzione: Lucas Ochoa, Thomas Benski, Gael García Bernal per Pulse Films-Canana Films-Ford Foundation-Britdoc-Film4-Impact Partners-Candescent Films-Silverlining Films-Sundance Institute Documentary; distribuzione: Mariposa; origine: Messico, Gran Bretagna, 2012; durata: 84’.

Trama:Nel deserto di Sonora, in Arizona, in un tratto noto come "il corridoio della morte", la polizia di frontiera scopre un corpo maschile in decomposizione con una maglietta sbrindellata sotto cui si nasconde un tatuaggio che recita "Dayani Cristal". Chi è quest'uomo? Cosa lo ha portato qui? Come è morto? Chi o cosa è Dayani Cristal? Il regista Marc Silver ha seguito una squadra del Pima County Morgue in Arizona incaricata di rispondere a queste domande e dare a questo sconosciuto un'identità. Mentre l'indagine forense va avanti, l'attore e attivista messicano Gael García Bernal ne ripercorre i passi attraverso il percorso migratorio dall'America Centrale. Nel tentativo di capire cosa si prova nell'affrontare questo viaggio, si è mescolato tra i migranti nella loro missione di speranza verso il confine, sperimentando in prima persona i pericoli che devono affrontare e venendo a conoscenza delle loro motivazioni, aspettative e paure.

Critica (1):Il film, o meglio il docufilm, è stato ideato da Gael Garcìa Bernal e Marc Silver: il primo noto soprattutto per il suo lavoro d’attore in film quali I diari della motocicletta o il recente No, ma anche regista e produttore oltre che attivista; il secondo regista indipendente e produttore creativo impegnato nel sociale, che con Chi è Dayani Cristal? debutta alla regia.
Nel deserto dell’Arizona viene trovato un corpo non identificato in decomposizione, il cui unico segno distintivo è un tatuaggio con la scritta “Dayani Cristal”. Chi è quest’uomo? Cosa lo ha portato lì? Come è morto? Chi o cosa è “Dayani Cristal”? Il docufilm si propone di indagare il mistero nascosto dietro a questo inspiegabile ritrovamento e dare all’uomo un’identità.
Il documentario diretto da Marc Silver, vincitore del Cinematography Award nella World Cinema Documentary Competition al Sundance Film Festival 2013, segue tre direzioni di indagine. Da una parte viene interrogato il team della morgue della Contea di Pima in Arizona, che racconta il processo di ricerca adottato per risolvere casi di ritrovamento di cadaveri senza identità nella zona di confine tra Messico e Stati Uniti. Dall’altra Gael Garcia Bernal ripercorre quelli che sono stati presumibilmente i passi percorsi dall’”uomo Dayani Cristal” per varcare il confine come migrante, sperimentandone gli stessi pericoli e cercando di comprenderne le motivazioni, grazie anche agli incontri lungo la strada. Infine, dall’altra parte del grande muro, a parlare è la famiglia stessa dell’uomo che, attraverso i ricordi, delinea un affettuoso ritratto di quello che inizialmente è per tutti solo un altro cadavere tra i numerosi ritrovati ogni anno nella zona.
Chi è Dayani Cristal? racconta con commossa partecipazione e con più sguardi una tragica realtà troppo spesso ignorata o dimenticata da chi vive nel “lato privilegiato” della barriera di confine. I sogni, le speranze, l’ottimismo e la tenacia di quei meno fortunati che, nel desiderio legittimo di una vita che possa lasciarsi alle spalle la povertà per abbracciare l’opportunità, intraprendono il duro cammino del migrante, fatto di fatica, sudore, sfruttamento, rapimenti, treni presi di corsa, camminate sfiancanti e la continua minaccia della morte. La storia dell’”uomo Dayani Cristal”, ennesimo John Doe che la morgue col suo meticoloso lavoro cerca con ogni mezzo a disposizione di restituire alla famiglia anche se ormai come corpo inerte, diventa storia universale e simbolica da guardare per farsi istruire e ispirare, non solo sulla questione dell’immigrazione e dei suoi tragici risultati a causa della politica degli Usa in materia, ma anche sul viaggio di un uomo al quale, grazie al documentario, viene restituito un nome, un volto e soprattutto una dignità. Un uomo con un punto di partenza e un cammino intrapreso nel mezzo, ma che per tragica fatalità ha mancato il traguardo; un uomo che se solo gliene fosse stata data l’occasione, avrebbe potuto dare un contributo reale al paese che l’ha rifiutato, a differenza di quel grande muro immobile che uccide sogni e persone.
seesound.it– Festival di Roma 2013

Critica (2):(…) È l’esordio alla regia di Marc Silver, già produttore e fotografo impegnato per i diritti umani, che lo ha ideato assieme a Gael García Bernal qui anche in veste di produttore.
Guardandolo si hanno conferme: la migrazione è dappertutto simile, simili storie e simili problemi. Alle porte degli Stati Uniti si verifica la stessa tragedia che lungo le coste siciliane e del sud Italia. La forza della narrazione documentaristica sta nel portare lo spettatore a guardare da vicino gli aspetti più aberranti del fenomeno, a vedere la crudezza di una realtà che supera ogni più terribile immaginazione. Il regista è preciso nello scovare particolari. Su tutti, la miriade di resti umani tra cui quotidianamente lavorano gli esperti della morgue: immagini degne di uno scavo archeologico, che invece parlano di nostri contemporanei e di viaggi della speranza divenuti disperati. Pochi elementi per tentare di ricomporre puzzle, di risalire a identità che nella maggior parte dei casi restano sconosciute. La ricostruzione è condotta abilmente, svelando la verità pian piano, aggiungendo tassello a tassello, mantenendo viva l’attenzione. Mentre a Bernal e al suo viaggio – Honduras, Guatemala, attraverso il Messico sul tetto di un treno detto “la bestia”, fino al confine del deserto – è affidato il compito di emozionare. Siamo coinvolti dai racconti dei migranti – sogni, speranze, pericoli – e presi dalle immagini di paesaggi che sembrano sconfinati, mentre l’uomo si sforza di segnarne limiti e confini.
L’obiettivo del lavoro è restituire umanità e voce agli invisibili, rovesciare la prospettiva che li vede come criminali, illegali e pericolosi. Il loro calvario per raggiungere “la terra promessa”, ossia gli Usa, è paragonato alle sofferenze di Cristo, anch’egli “migrante dal cielo alla terra”.
D’indubbia forza anche la critica alle politiche Usa in materia d’immigrazione che viene in primo luogo dai funzionari statunitensi, dal personale di frontiera costretto a vivere ogni giorno questa tragedia come la propria “routine”. Sono loro a sottolineare l’insensatezza dell’operato del proprio governo, che con leggi e muri (gli Usa hanno speso molto nella costruzione di un muro alla frontiera col Messico) non ha fermato un fenomeno inarrestabile come la migrazione; denunciano il continuo aumento delle morti di migranti al confine con l’Arizona.
Un documentario con una sua originalità e un’occasione di riflessione. Ci suggerisce un’idea efficace per portare sotto i riflettori mondiali la questione migratoria.
cinefilos.it

Critica (3):

Critica (4):
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