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Più grande bene del mondo (Il) - We think the world of you


Regia:Greeg Colin

Cast e credits:
Soggetto: dal romanzo di J.R. Ackerley; sceneggiatura: Hugh Stoddart; fotografia: Mite Graffata; musica: Julian Steve Cornish; montaggio: Peter Delfgou; scenografia: Jamie Leonard; interpreti: Alan Bates, Gary Oldman, Ryan Batt, Max Wall, Liz Smith, Frances Barber; produzione: Tommaso Randelli, per Golf Screma Films/Film Four Intl/British Screma; distribuzione: ACADEMY; origine: Gran Bretagna; anno: 1988; durata: 94'.

Trama:La storia del crescente affetto del borghese omosessuale Frank (A. Bates) per Evie, la cagna alsaziana del suo amante, il proletario sposato Johnny (G. Oldman), finito in carcere per furto.

Critica (1):Siamo a Londra nel secondo dopoguerra e il ricordo della guerra con i tedeschi é ancora vivo. E di questo possiamo essere sicuri anche perché, quando Toni parla di Evi, la cagna alsaziana, dice: "C'è gente che usa il termine 'pastore tedesco', ma a me non piace".
É di tutto il resto che non possiamo essere sicuri. Apparentemente il film é la storia di un ragazzo di umile estrazione che finisce in galera e di una cagna che finisce invece nelle mani di un ricco e distinto signore. Quel che il film insiste a non dire, per quanto lo proclami chiaro e forte, é che in realtà si tratta della storia d'umore tra due uomini o meglio della fine di una storia d'amore.
John e Frana hanno avuto una relazione. John chiede a Frank i soldi per comprare una cagna (ne ha avuta un'altra da piccolo ed é morta).
Frank, che ignora il motivo della richiesta, rifiuta. John tenta un furto, compra la cagna e finisce in galera. Frank allora si impegna a sostenere economicamente i genitori e la moglie di John, Megan (N.B. é la stessa attrice di Distant Voices di Davies).
Solo più tardi e quasi in punta di piedi entra in scena Evie, la cagna che John ha lasciato in custodia ai genitori. Il modo in cui questi la trattano, il fatto che non la portino mai fuori a passeggio, fa imbelvire Frank. Cosa che potrebbe sembrare eccessiva, anche tenendo in conto l'adorazione degli inglesi per i cani. Il problema é che per Frank, Evie é diventata la posta simbolica con cui surrogare la relazione con John. E' l'ostaggio attraverso il quale rivendicare l'amore passato, é il resto materiale di un rapporto e contemporaneamente la sua nostalgia. E' a questo punto che i dialoghi prendono derive precipitose, che i significati subiscono torsioni imprevedibili e si caricano d'ambiguità lampanti.
Non vorrei fare della psicanalisi a buon mercato, ma é evidente che la cagna precedente di John (quella che é morta) corrisponde alla sua prima infantile esperienza omosessuale. Tanto che quando John vende a Frank la nuova Evie, a quel punto siamo sicuri che la loro relazione é proprio finita. John s'è sposato, ha fatto due figli, vuole rientrare nella norma, forse ha sfidato la Legge ed é finito in galera proprio per sfuggire all'amore per Frank. Ha comprato una cagna che é una lettera in giacenza (en souffrance, direbbero i francesi) e che quando arriva a destinazione ha un messaggio chiaro: l'amore è finito. Detto questo, bisogna anche dire che non bisogna dirlo. Ovvero che il film non si sogna neppure di essere così esplicito, ma al contrario sembra segnato da un riserbo e da una riluttanza assolutamente imperforabili.
Uno di quei film in cui si abbandona il salotto per dare il tempo a Frank di lasciare i soldi sotto il vaso che sta sul caminetto. In cui il controllo sulle emozioni e sui comportamenti è direttamente proporzionale al controllo sullo stile e sulle inquadrature. Da questo punto di vista è illuminante la sequenza in cui Frank cerca di affidare Evie ad un allevamento.
Frank sta spiegando all'allevatrice come sia entrato in possesso della cagna. Quasi immediatamente la camera inizia una panoramica ed il sonoro s'abbassa (Frank in fondo sta raccontando la sua storia d'amore e la sua omosessualità). Si rialza soltanto alla fine della panoramica per la risposta della donna che è secca e conformista: "Le spari". La donna non vuole la cagna, ma evidentemente ha anche qualcosa da dire contro l'omosessualità maschile. Tutto molto smorzato (la camera che abbandona gli attori, il sonoro che si fa indistinto), ma tutto perfettamente leggibile.
Certo, non sempre il film è così sottile: a metà strada la sceneggiatura perde qualche colpo, il finale didascalico poi è del tutto abominevole.
Nel bene e nel male si tratta di un film perdutamente inglese, molto mise en piace, assolutamente controllato, a volte un pò prevedibile, ma splendidamente recitato (Gare Oldman è come sempre formidabile).
E' poi tutto questo non toglie nulla al piacere della perversione costante che converte ogni semplice enunciato in un enunciato doppio. Il maggiore divertimento del film sta proprio qui. Sta nella famosa domanda: "Di cosa parliamo quando parliamo d'amore?". La risposta di Colin Gregg è evidente: a volte parliamo di cani, anzi di una splendida cagna alsaziana.

Gualtiero De Marinis, Cineforum n. 295 giugno 1990

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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