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Re dei giardini di Marvin (Il) - King of the Marvin Gardens (The)


Regia:Rafelson Bob

Cast e credits:
Soggetto
: Bob Rafelson; sceneggiatura: Jacob Brackman, Bob Rafelson; fotografia: László Kovács; montaggio: John F. Link; interpreti: Jack Nicholson (David Staebler), Bruce Dern (Jason Staebler), Ellen Burstyn (Sally), Julia Anne Robinson (Jessica); produzione: Columbia; distribuzione: Cineteca Lucana; origine: Usa, 1972; durata: 100'.

Trama:Atlantic City. Il pubblicitario Jason, inaffidabile e sbruffone, coinvolge in un losco affare, il fratello David, persona seria e irreprensibile che lavora come speaker di un programma radiofonico. Jason vive una situazione familiare complessa: convive con Sally donna piena di conflitti in competizione con la figliastra, Jessica che intrattiene un rapporto ambiguo verso il patrigno. L'epilogo sarà cruento....

Critica (1):Si deve alla celebrità raggiunta da Jack Nicholson se Il re dei giardini di Marvin, diretto da Bob Rafelson dopo Cinque pezzi facili ('70) e prodotto nel '73, solo oggi arriva in Italia in compagnia di altri fila interpretati dal famoso attore prima che il suo nome cominciasse a lampeggiare nel firmamento divistico. Meglio tardi che mai, commenteremo, tanto più che il repéchage è più che giustificato dalla qualità del film. Nicholson riveste la parte di un conversatore radiofonico, che nel vino delle sue giovanili ambizioni di artista ha versato molta acqua e ora si accontenta di raccontare, davanti a un microfono, fra una parentesi musicale e l'altra, storielle confidenziali, poetiche e amaricce, che hanno un alone fiabesco e incantato. David libera i suoi pensieri, parla piane e con un tono suadente di voce, lascia indovinare agli ascoltatori la personalità di uomo deluso e battuto dalla vita. È l'opposto di suo fratello, Jason, al quale è unito da un affetto e da una solidarietà che risalgono al periodo dell'infanzia. Questi si trova nei pasticci e lo manda a chiamare e David accorre ad Atlantic City Per Jason contano il denaro e il successe e l'intraprendenza che sono le virtù principali di ogni autentico americano. Negli affari trasfonde una dose prorompente di vitalismo e un entusiasmo illimitato, ma più che realizzarli Jason li immagina, li sogna, li accarezza, se ne bea persuaso di poter dominarne in ogni caso le combinazioni. E invece è soltanto un traffichino, che si agita molto e stringe pugni di mosche nella mano: gli eventuali soci sono lesti nel dileguarsi, i possibili finanziatori - c'è di mezzo un boss negro, un mafioso che ha interessi nelle attività alberghiere - lo stimano un inconcludente. Jason si è incaponito a condurre in porto un ambizioso progetto di lottizzazione in un'isola delle Haway e, piú per non contraddirlo che per intimo convincimento, David gli sta appresso e lo accondiscende. Ma anche questa è una bolla di sapone, l'ennesima, e Jason non vuole capacitarsene, non riuscirà mai a correggersi e a fronteggiare la realtà senza paraocchi.
Non è questa l'unica spina che lo punge e di cui David si accorge anche se non osa contrastare l'amato fratello poiché, in seguito, gli invidia la mancanza di freni critici e inibitori e l'impavida sicurezza di sé. Jason convive con Sally, una donna che non si rassegna a invecchiare e che ha un atteggiamento competitivo nei confronti della figliastra, Jessica, più bella e più fresca di lei ed eccessivamente espansiva con il patrigno, il quale non è insensibile al suo fascino. Fra i tre si, è stabilito un rapporto non privo di un pizzico di ambiguità e a soffrirne è Sally, che sente la sua impotenza di fronte alla giovinezza di Jessica e teme di perdere Jason. Il trio, cui si è aggiunto David, poggia su puntelli instabili e veleggia in un mare di inquietudini e dissonanze. L'equilibrio precario che lo tiene insieme si rompe improvvisamente durante una accesa discussione, quando Sally, ingelosita e disperata, scarica la pistola su Jason. La congrega si scioglie e David torna a Filadelfia al lavoro radiofonico, a casa dove l'aspetta il padre vecchio e catarroso che la sera stenta ad addormentarsi e non si stanca di proiettare un filmino in cui i suoi due figli, ancora bambini, costruiscono sulla spiaggia castelli di sabbia. David e Jason, Sally e Jessica, il quartetto di Il re dei giardini di Marvin, sono l'incarnazione di altrettante facce di un'America che confessa il crollo dei suoi miti sociali ed esistenziali, e guarda i solchi delle rughe dell'animo allo specchio, anche se il bagno nella verità e lo smantellamento delle illusioni non comporta un lasciapassare per la speranza, all'infuori della coscienza di colui che narra. I personaggi non si distaccano dalla cattività della propria autorappresentazione, dai propri inganni e dal proprio malessere e si muovono come pesci in un acquario. Rafelson li scruta, si immedesima in loro, li sbriglia in una struttura narrativa che gira su se stessa, non innervosisce i conflitti, si adagia nei ritmi lunghi della quotidianità. Cinema di natura cecoviana il suo, specificamente in questo film, non solo e non tanto per la prevalenza che vi hanno le atmosfere e i tempi morti, ma anche per l'affiorare di un humour dolente. Cinema irrorato dall'incessante deambulare e dialogare dei protagonisti, aperto alle improvvisazioni sul set, alla partecipazione inventiva degli interpreti, alla spontaneità e all'immediatezza tipica dei procedimenti nei quali i soggetti dell'inchiesta vengono provocati per mettersi a nudo. Ma non cinema asservito a canoni letterari per quante risonanze siano afferrabili, nel film di Rafelson, di commedie e di romanzi americani in qualche maniera debitori al magistero di Cechov.
Mino Argentieri, Cinema Sessanta n. 116, 7-8/1977

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Bob Rafelson
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