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Spostati (Gli) - Misfits (The)


Regia:Huston John

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura
: Arthur Miller; fotografia (Cinemascope): Russell Metty; scenografia: Stephens Grimes, William Newberry; costumi di Marilyn Monroe: Jean Louis; musica: Alex North; montaggio: George Tomasini; interpreti: Clark Gable (Gat Langland), Marilyn Monroe (Roslyn Taber), Montgomery Clift (Perce Howland), Eli Wallach (Guido), Thelma Ritter (Isabelle Steers); produzione: Frank E. Taylor per UA/Seven Arts; origine: USA, 1961; durata: 124'.

Trama:Reno nel Nevada. Mentre attende il divorzio, Roslyn Taber, confortata dall’anziana amica Isabelle e insistentemente corteggiata da Guido, un garagista vedovo, si innamora di un cacciatore di mustang, Langland, uomo maturo su cui pesa un passato infelice, lo spettro della solitudine e il necessario cinismo della sua attuale occupazione. La caccia ai cavalli selvaggi, perduta l’aura mitica della tradizione western, è ormai infatti una spietata rincorsa, attuata con aereo e fuoristrada, di branchi destinati ai macelli. La resistenza dei mustang è tuttavia disperata e tenace. Ne ha fatto le spese Perce, un giovane nevrotico, amico di Langland, rimasto ferito durante una battuta di caccia. Mentre i rapporti fra il piccolo gruppo di “spostati”, creatosi dopo la comparsa di Roslyn, subiscono i bruschi contraccolpi che la fragilità del loro mondo interiore e la sfiducia mutuata da quello esterno rendono inevitabili, Langland prepara la cattura di un nuovo branco di cavalli spinto dal desiderio di denaro e, insieme, dall’assurdo assillo di vendicare Perce. Roslyn, impaurita e disgustata dalla brutalità dell’uomo che ama, libera, di nascosto, i cavalli. Langland inseguirà di nuovo il branco, lasciandolo, però, alla fine, libero, in omaggio ai sentimenti della propria donna.

Critica (1):Si fa presto a dire che The Misfits (Gli spostati, 1960) è un film di Arthur Miller più che di Huston. Commediografo le cui azioni sono oggi in ribasso anche perché, a livello creativo, fa pensare a una pila scarica, ma che allora era all’apice del successo, nonostante un quinquennio d’inattività (Uno sguardo dal ponte è del 1955), Miller cominciò a scrivere il treatment di The Misfits all’inizio del 1958 su misura per sua moglie Marilyn Monroe, adattando il proprio racconto The Mustangs. Scritto da Miller, cittadino di Broadway, The Misfits è uno dei film più hustoniani che Huston abbia mai diretto (“È una gioia lavorare con Miller. Non ho mai collaborato con qualcuno che fosse altrettanto rapido e ricettivo. Dal momento che si ha un’idea, Miller la rende dieci volte migliore. Abbiamo passato due settimane insieme a St. Clerans per lavorare alla sceneggiatura, poi siamo partiti per Reno. Non abbiamo mai avuto un dissenso sulla distribuzione delle parti o sull’adattamento. Io approfondivo, lui andava ancor più in profondità”). È, intanto, un film sui cavalli, e s’è detto come e perché il più nobile degli animali addomesticati sia uno dei grandi amori nella vita di Huston: Gli spostati è una trenodia sulla fine dei cavalli nell’America che cambia (Huston: “Viviamo in una società dove i cani mangiano i cavalli”). È ancora una volta la storia di una piccola comunità di sbandati, tre uomini e una donna. Tipici eroi hustoniani, sono personaggi dominati da un mito, la libertà, il cui primo corollario è l’instancabile volontà di indipendenza dalla società, dalle sue leggi, costrizioni, tabù. Una frase ritorna nel film così spesso da diventarne un motivo conduttore ossessivo: “Meglio che stare sotto padrone!”. L’intrigo è semplice, una situazione più che un plot vero e proprio: l’incontro di Roslyn Taber, fulgida chicagoana in soggiorno temporaneo a Reno (Nevada) per ottenere il divorzio, con un terzetto di cowboys i quali, dice l’altra donna dei film (T. Ritter), “sono gli ultimi veri uomini anche se sono infidi come lepri”. Escluso In questa nostra vita con Bette Davis, lavoro su commissione (in La regina d’Africa e L’anima e la carne la donna ha un peso pari all’uomo, ma è il secondo che conduce il gioco), Gli spostati è il solo film di Huston che fa perno su un personaggio femminile: Roslyn è il motore del racconto. Ognuno dei tre uomini stabilisce con lei un rapporto diverso: nel giovane Perce Howland (M. Clift) è comprensione e concordanza di sensibilità cui non è estranea la vicinanza d’età; nell’ex-pilota Guido Delinni (E. Wallach), personaggio di colori hemingwayani, è semplice desiderio di possesso; nel maturo Gay Langland (C. Gable), è affetto corrisposto: bisogno di protezione in lei, necessità di stabilità in lui. Con questo quartetto Miller traccia un’analisi del malessere della società americana e della crisi dell’istituto familiare, analisi che talora diventa una patetica meditazione sull’incomprensione e l’incomunicabilità nella vita di coppia. Gli spostati è anche un ritratto letterariamente obliquo di Marilyn Monroe che Miller ha tracciato sul vivo e che Huston trasforma in un documentario sull’attrice nel senso in cui A bout de souffle è un documentario su Belmondo. La singolarità del film consiste in un transfert: Miller trasporta problemi, inibizioni, frustrazioni che sono degli americani di città tra la rude gente della prateria, tra quei cowboys che ancor oggi, grazie al concorso dei vari canali dell’industria culturale (cinema, TV, letteratura popolare, musica folk), incarnano alcuni miti americani: libertà, indipendenza, vagabondaggio, amore per la natura e gli spazi aperti, gusto dell’avventura e del rischio, competizione. Qual è la funzione del cowboy nel mondo dell’energia nucleare e dell’automazione? O dare spettacolo nei rodeos come Clift, cioè fare il giullare, o dare la caccia ai mustangs, ai cavalli dell’altopiano: un mestiere rischioso da “veri uomini” che, però, serve soltanto a rifornire i fabbricanti di scatolette di mangime per animali domestici: gli uomini possono essere o illudersi di essere quelli di una volta, ma i tempi sono cambiati, il mondo è diverso. Qua e là la verbosità di Miller infastidisce e più di una volta il lirismo dei dialoghi “Il tuo sorriso – dice Gable alla Monroe – è come il sorgere del sole...”. Oppure Wallach: “Sono un pilota che non riesce né ad atterrare né a puntare diritto verso Dio”) sfiora il kitsch più bieco. Ma lo spartito di Miller ha - attraverso Huston direttore d’orchestra né timido né ossequiente - un’esecuzione finissima. Con un ricorso insistente al primo e al primissimo piano e un’estrema mobilità della cinepresa, il regista sta addosso agli attori con scioltezza, sicurezza, agio ammirevoli. Si sente che tra il regista e i suoi interpreti s’è stabilita un’intesa che nasce da un reciproco rispetto e dalla fiducia nel proprio lavoro: un risultato raro, soprattutto se si tiene conto della tensione e degli incidenti durante le riprese. Ognuno dei quattro personaggi vive, è “ qualcosa”, e dalla trama dei loro rapporti il film trae la sua linfa vitale. Nella partita finale di caccia dove The Misfits assume la lirica accensione di una metafora sulla metamorfosi dell’America, Huston trova lo stato di grazia stilistica dei suoi film migliori, e la Monroe ha un’ottima occasione per mettere in luce le sue latenti e acerbe qualità drammatiche: in un’ideale antologia del suo itinerario d’attrice è una scena che non dovrebbe mancare. La metafora non è limpida, ma la forza del suo impatto visivo è inconfutabile. E le parole finali del film, dette da Gable: “Dirigiti verso quella grande stella... ci riporterà a casa”, sono il suggello di un’altissima retorica. Tutto il film, d’altronde, acquista retrospettivamente l’inquieto fascino di un gioco della verità in cui è difficile discernere il confine che separa la realtà dalla finzione, la vita dalla sua rappresentazione: è l’apoteosi di Gable che morì undici giorni dopo la fine delle riprese; la separazione di Marilyn Monroe da Miller, preludio della sua tragica fine, è iscritta in filigrana nel film.
Morando Morandini, John Huston, Il Castoro cinema, 1995

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
John Huston
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