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Re a New York (Un) - King in New York (A)


Regia:Chaplin Charlie

Cast e credits:
Soggetto: Charlie Chaplin; sceneggiatura: Charlie Chaplin; musiche: Charlie Chaplin; montaggio: John Seabourne Sr.; scenografia: Allan Harris; effetti: Wally Veevers; interpreti: Charlie Chaplin (Re Shahdow), Jerry Desmonde (Primo Ministro Voudel), Oliver Johnston (Ambasciatore Jaume), Sidney James (Johnson), Joan Ingrams (Mona Cromwell), Michael Chaplin (Rupert Macabee), John McLaren (Macabee), Harry Green (Green, avvocato Del Re), Alan Gifford (direttore scolastico), Robert Cawdron (Procuratore di Stato), George Woodbridge (membro Commissione Nucleare), Clifford Buckton (membro Commissione Nucleare), Vincent Lawson (membro Commissione Nucleare), Shani Wallis (cantante), Joy Nichols (cantante), Nicholas Tannar (maggiordomo), George Truzzi (comico), Lauri Lupino Lane (comico), Phil Brown (preside), Maxine Audley (Regina Irene), Dawn Addams (Anna Kay); produzione: Charlie Chaplin per Attica Film Company/Archway; distribuzione: Cineteca di Bologna; origine: Gran Bretagna, 1957; durata: 105'.

Trama:Un Re, deposto da una rivoluzione, è costretto a lasciare il suo regno europeo e si rifugia nel paese della libertà, gli Stati Uniti d'America. A New York l'ex re si trova imprigionato nella libera vita della città americana; appena sceso dall'aereo, ha dovuto lasciarsi prendere le impronte digitali, più tardi, al cinema e al ristorante trova soltanto violenza, frastuono e danze selvagge. Lo si invita ad un pranzo per dar modo a telecamere nascoste di fargli svolgere, a sua insaputa, un'azione pubblicitaria. Responsabile di questa gherminella è Anna Kay; ma quand'ella si presenta per offrirgli un lauto compenso ed un regolare contratto, egli la respinge bruscamente. Uno spiacevole incidente costringe l'ex re a prendere in considerazione offerte del genere: il suo primo ministro è fuggito, derubandolo di tutto il denaro. Ora il povero re spodestato deve mettersi al servizio della pubblicità e per far la propaganda a favore di certi ormoni si sottopone ad un'operazione che gli sfigura il volto: un'altra operazione gli ridarà la sua faccia. Invitato a visitare una scuola, egli si meraviglia dei sistemi d'educazione, che vi sono applicati: si ferma a parlare con uno dei ragazzi, di nome Rupert, e scopre in lui un fanatico, che manifesta urlando le sue idee anarcoidi. Quando viene a sapere che i genitori del ragazzo, ex comunisti, arrestati su denuncia del Comitato per le attività antiamericane, sono in prigione, l'ex re prende con sè il ragazzo; ma questo gesto generoso gli tira addosso parecchi guai. Egli stesso viene convocato per discolparsi davanti al Comitato; ma poi viene lasciato libero. Ormai ne ha abbastanza dell'America; prima di partire, va a salutare Rupert, e trova che ha perduto la sua baldanza. Per ottenere la libertà dei genitori, ha rivelato ai giudici i nomi di certi comunisti. Rupert è tutto vergognoso e piangente; e l'ex re lo conforta esprimendo la speranza che anche in America le cose cambieranno.

Critica (1):D'accordo: Charlot non ci fa più ridere. Ma i critici, al contrario, non finiscono di divertirmi ! Ciò che è più comico nel loro resoconto, come in tutti quelli negativi su A king in New York, sono le allusioni alla debolezza della sceneggiatura. Sarebbe come rimproverare al Nuovo Testamento di essere privo di suspense. Non è a caso che cito il Nuovo Testamento: il re Shahdow, monarca spodestato, arriva a New York dopo esser riuscito a salvare la pelle e i fondi della tesoreria reale. L'indomani apprende che il suo primo ministro ha tagliato la corda con tutto il malloppo. Il re è completamente rovinato. L'autore di questa scena è Charlie Chaplin o San Matteo che ci riferisce la parabola dei talenti? Un uomo sul punto di fare un viaggio affida la sua fortuna ai suoi servitori : uno di loro gli tira uno scherzo simile e l'uomo lo rimprovera così: "Servo cattivo e infedele! Perché non hai messo a frutto il denaro che ti ho affidato partendo?".
C'è poi una cena in casa di una dama che fa molto Elsa Maxwell, nel corso della quale il re è tradito da uno spioncino nel muro dietro il quale una telecamera registra clandestinamente la cena e le buffonate del re; e così che suo malgrado Shahdow diventa una vedette della televisione. Visitando una scuola progressista, fa la conoscenza di un ragazzo di dodici anni che con le sue risposte stupisce e confonde gli adulti che per l'occasione chiameremo i "Dottori". Una sera d'inverno, rientrando a casa, incontra il ragazzo che sta morendo di freddo nei suoi abiti fradici. Il marmocchio, Ruppert, informa Shahdow che i suoi genitori sono stati arrestati perché comunisti e che sono stati condannati perché si sono rifiutati di denunciare i loro amici. In casa del re, Ruppert si spoglia per prendere un bagno e Shahdow va ad acquistargli altri vestiti. Si può richiamare ancora alla memoria un'altra figura del Nuovo Testamento, quella dell'indemoniato guarito: "Quest'uomo era allora senza vestiti per significare che aveva perduto la fede e la giustizia originali, che erano come un vestito di luce che ci conserva nel nostro stato di innocenza". Ma ben presto gli uomini di McCarhty vengono a prendersi il ragazzo per portarlo da Erode: "Questo principe ipocrita, tenendo nascosto il suo disegno di uccidere questo ragazzo che era costretto a riconoscere come Dio, disse ai Magi di cercarlo e che venissero poi a portargli sue notizie".
Poco dopo, Shahdow è a sua volta convocato davanti alla Commissione per le attività anti-americane; i mercanti di quel tempio sono irremovibili ma, imitando Gesù che rovesciò tavoli e casse, Shahdow piomba davanti ai cattivi giudici avvolto in un idrante con il quale li innonda ben presto. Grazie all'acqua purificatrice Shahdow è prosciolto ed è probabilmente Dio che in sogno consiglia a questo nuovo re mago "di prendere un altro cammino per tornare al suo paese" al fine di sfuggire a Erode che gli avrebbe subito ritirato il passaporto. Ma l'aspetto più triste della faccenda è che il ragazzo, per far liberare i genitori, ha accettato di fornire le "informazioni richieste". La morale di questo film non è certo così ingenua come quella del "Cristo nuovamente crocifisso" del Celui qui doit mourir (Colui che deve morire, 1957) di Jules Dassin : ci dice infatti che se Cristo tornasse ai nostri giorni nel paese degli spioni sarebbe costretto a collaborare con McCarty.
Non pretendo che la mia interpretazione della sceneggiatura sia definitiva, ma non potendo dimostrarne la bellezza, bisogna spesso fingere di spiegare per convincere.
Il malinteso è sempre lo stesso: avendo appiccicato arbitrariamente un'etichetta a un'opera, non piace per niente dover cambiare etichetta. Se Chaplin continuasse alla sua età a fare il pagliaccio con la sua celebre divisa, risulterebbe di una inefficacia costernante, questo è evidente. D'altronde, è altrettanto evidente che un uomo che ha girato sessantacinque film tra i più famosi e ammirati della storia del cinema non ha bisogno di consigli da nessuno sul come costruire una storia.
Non sono certo io che ho trovato differenze tra la prima e la seconda parte di A king in New York, semplicemente perché non ho commesso l'errore di apprestarmi a ridere. Come tutti, leggo i giornali e sono al corrente delle disavventure di Chaplin con l'America, conoscevo il soggetto del suo nuovo film e la profonda tristezza dei suoi film precedenti. Era prevedibile che A king in. New York sarebbe stato il più triste dei suoi film e anche il più personale. Bisogna anche dire che uno che ha fatto The gold rush (La febbre dell'oro, 1925) è capace, se vuole, di far ridere o piangere il suo pubblico a volontà; conosce tutti i trucchi, è un asso, lo sappiamo. Se vedendo A king in New York non piangiamo più di quanto ridiamo, è perché Chaplin ha pensato che bisognava raggiungere la testa più che il cuore. La terribile dolcezza del suo film mi ha fatto pensare a Nuit et brouillard che rifiutava ugualmente i facili effetti del pamphlet e della vendetta.
Due esempi : se Chaplin avesse voluto far piangere, gli sarebbe bastato sviluppare e articolare drammaticamente la scena in cui il piccolo Ruppert confessa a Shahdow di aver denunciato gli amici dei suoi genitori; gli bastava rifare una bobina di The kid (Il monello, 1921). Se Chaplin avesse voluto farci ridere, quando ci mostra i preparativi della Commissione d'inchiesta, avrebbe sviluppato il momento in cui l'inquirente si incipria e si trucca per la ripresa televisiva. Sarebbe stato distruggere il suo film che mira più in alto : mostrandoci una sola immagine molto breve di questo maquillage visto su un monitor, aggiunge semplicemente, allo stato puro, un documento al dossier.
Non è un film che si stende, si sistema, si divide in scene divertenti, ironiche o amare, ma una dimostrazione rapida, secca, dal tratto sicuro, quasi un documentario. Queste inquadrature di New York, queste due immagini d'aereo che Chaplin ha inserito qua e là fanno pensare a una sorta di montaggio di documenti. A king in New York non è un romanzo, né un poema, ma un articolo di giornale, qualche pagina di appunti in cui "Charlie commenta liberamente l'attività politica".
Se ha scelto di impersonare un re, è che la sua vita è quella di un re. Dovunque è accolto come un re e non ha avuto bisogno di inventare per mostrarci questi fotografi abusivi, questi giornalisti indiscreti, questi ricevimenti grotteschi. Nella vita Chaplin è costantemente obbligato a fare dei "numeri" per non deludere l'idea che i suoi "ospiti" del Tout-Paris, Londra, New York si fanno di lui. Egli mostra chiaramente che questi numeri sono divertenti per tutti eccetto che per lui; di qui la prodigiosa tirata di Amleto che è lì per farci digrignare i denti piuttosto che per farci ridere. Nel dialogo qualcuno dice press'a poco: "E uno qualsiasi, ma se lo si scalda un po', diventa molto divertente". Mi piace questa lucidità ironica che si trova in tutto il film.
All'inizio del film con la scena del denaro rubato, Chaplin si prende gioco di sé, della sua famosa avidità, della sua ossessione di essere derubato. Tanto Charlot era sentimentale, altrettanto Chaplin lo è poco e ci mostra, per la prima volta, dei rapporti veri e precisi tra il re e le donne; non c'è più romanticismo, non ci sono più mazzolini di fiori sul seno, ma Dawn Adams, una bambola americana talmente eccitante e seducente che il re le salta, letteralmente, addosso. Tutto ciò che si sa della vita amorosa di Chaplin negli Stati Uniti, le ragazzine che madri indegne gli spingono tra le braccia per poi denunciarlo e procurarsi rendite a vita, e riassunto qui in tre minuti.
Se A king in New York non è un film divertente, è che l'America di McCarty è un paese dove ci si annoia. È un film autobiografico e senza compiacimento, un brano di vita più doloroso di altri perché Chaplin ha capito che il più angosciante problema di questa epoca non è la miseria o gli inconvenienti del progresso, ma questa distruzione organizzata della libertà ben presto degradata a delazione obbligatoria.
"L'opera d'arte - spiega Jean Genet da qualche parte - deve risolvere il dramma e non esporlo". Charlie Chaplin risolve il dramma grazie al suo segreto che si chiama lucidità.
(1957)
François Truffaut, I film della mia vita, Marsilio, 1975

Critica (2):" Un re a New York" non è antiamericano
di Charlie Chaplin

23 novembre 1956
Signor Chaplin, considera Un re a New York un film anti-americano"?
"Certamente no - mi ha risposto - Sotto molti punti di vista è un film a favore dell'America. Tutti i personaggi descritti nel film sono gentili, generosi e dalle buone intenzioni".
"Ma è un film controverso", ho insistito.
"Tutte le commedie sono controverse - ha replicato - che si tratti di un clown su un trapezio o di un buffone in un circo, la risata scaturisce sempre da un giudizio espresso su di loro o sul comportamento della società in generale".
"Secondo lei è legittimo affermare che Un re a New York sia un film politico?"
"Non mi sognerei mai di proporre un argomento noioso come la politica a un pubblico che ha pagato il biglietto per divertirsi", ha risposto.
"Eppure nel film si fa riferimento ad argomenti politici".
"Qualunque argomento affronti lo faccio con lo scopo di far ridere il pubblico. Questo film è una commedia sulla vita moderna".
"Potremmo dire allora, che in un Un re a New York si ride degli americani e delle loro istituzioni?".
"Potrei dire - ha replicato - che nella maggior parte delle mie commedie si ride di me. Per quanto riguarda le istituzioni, credo che siano per molti aspetti universali simili in tutti i paesi del mondo. Direi che la mia commedia ride del mondo in generale".
"Ci sono dei momenti seri nel film?"
"Certo, ci sono momenti molto toccanti, spero, ma ho evitato di mettere in scena 'grandi cattivi' e grandi eroi. I personaggi del film possiedono tutti, in diversa misura, un certo grado di umanità".
"Affermerebbe che questo è il suo film più divertente signor Chaplin?"
"Se per divertimento intende risate a crepapelle, sì credo di no. Ci sono, tuttavia, alcune sequenze che oserei definire piuttosto nuove e originali, e che non penso siano state mai presentate in questo modo prima d'ora".
"Ci può parlare un po' di più dei momenti comici del film?"
"Mi ha risposto, non posso entrare troppo nel dettaglio in quanto rischierei di rovinarne l'effetto, ma posso dire che riguardano tutti quegli aspetti della vita moderna - la mania per la pubblicità, l'assurdità di certi film, la televisione, le donne dell'alta società, i cacciatori di autografi, i reporter, il Rock 'n' Roll".
"E i momenti più riflessivi?"
"Hanno a che fare con alcuni aspetti specifici dello stile di vita americano".
"E non potremmo dunque affermare che questi momenti sono presentati con occhio anti-americano"?
"Niente affatto - mi ha risposto - perché la maggior parte degli americani sono contrari a questo stile di vita. Si tratta di sequenze molto brevi che hanno lo scopo principale di divertire".
"Un re a New York critica l'attuale stile di vita americano?"
"No, il film non critica, descrive semplicemente i fatti. Sarà compito del pubblico esprimere un giudizio in merito".
"Signor Chaplin, crede che avrà problemi con la censura?"
"No, credo che la censura comprenderà questo film".
"Riassumendo, qual è il tema centrale di Un re a New York?"
"L'elemento dominante del film - espresso da un bambino di dieci anni - è l'appello alla dignità personale. In un'epoca di isteria e inquietudine, in cui tutte le ideologie sembrano volgere verso l'irregimentazione, l'uniformità e la plastificazione del pensiero, dobbiamo cercare di preservare le qualità indispensabili per la ricerca della felicità... la dignità e la nobiltà dell'uomo.
(Questo "Incontro con se stesso" di C. Chaplin è stato pubblicato su Alias /Il Manifesto il 26/5/2007)

Critica (3):

Critica (4):
Charlie Chaplin
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