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Follia d'amore - Fool for Love

Regia:Altman Robert
Cast e credits:Soggetto e sceneggiatura: Sam Shepard, dal suono omonimo dramma; fotografia: Pierre Mignot; musica: George Burt; montaggio: Luce Grunenwarldt, Steve Dunn; scenografia: Stephen Altman; costumi: Kristine Flones-Czeski; suono: Catherine D'Hoir; interpreti: Sam Shepard (Eddie), Kim Basinger (May), Harry Dean Stanton (il vecchio), Randy Quaid (Martin), Martha Crawford (la madre May), Louise Egolf (la madre di Eddie), Sura Cox (May adolescente), April Russel (May giovane), Jonathan Skinner (Eddie
adolescente), Deborah McNaughton (la "contessa"), Lon Hill (Mr. Valdez); produzione: Menahem Golane Yoram Globus, per Cannon Films; distribuzione: DLF; durata: 106'.
Critica (1):Dopo Win Wenders, anche Robert Altman si "shepardizza" e trasferisce il set nell'ombelico dell' imagerie shepardiana: un motel diroccato in mezzo al deserto, tra baracche e rifiuti, avvolto da un country energico e nostalgico che senza tregua ritma l'incessante implodere ed esplodere di ciò che resta del sogno americano. Se il connubio con Shepard era servito a Wenders per approfondire l'epos del vagabondaggio e la poesia della "deriva", Altman ne ricava invece un delitto al neon attorno ai fantasmi di un'ossessione d'amore. Fool for Love è un film a focalizzazione plurima in cui la medesima passione è narrata più volte a partire da punti di vista constrastanti. La claustrofobia degli ultimi movies altmaniani (Jimmy Dean, Jimmy Dean Streamers) si apre e si sgretola, travolgendo però non tanto i confini della spazialità quanto quelli della temporalità: ed ecco allora un plot giocato sul continuo sovrapporsi di tempi resi diversi dal ricor-
do, ma nuovamente assimilati e omologati dal loro depositarsi alluvionale sul piano del presente narrativo. Più che la storia di una passione d'amore, il film è infatti una quète nei falsi indizi della memoria, o una detection sui trucchi (e i rischi) del ricordare. Alle prese con la fuggevolezza del tempo, e con la sua pluri percorribilità, lo stile di Altman si vivacizza e si arricchise, qua e là ridiventa mosso e vibrante come ai tempi di Nahville.Grandi spazi. Inquadrature dall'alto. Schizofrenia della focale ottica. Poi dettagli ingigantiti, gesti esasperati, silenzi. All'inizio la situazione è quella - classica - dell'attesa. Kim ascolta la radio e rigoverna. Sam guida un'auto incrostata di fango. Lo spazio tra i due diminuisce con lo scorrere del tempo del racconto e Altman vi si fionda con sorprendente spregiudicatezza ed energia, passando velocemente da campi lunghissimi a primissimi piani, e penetrando a colpi di rasoio il suo set fatto di luci al neon, armoniche a bocca, jeans sdruciti, sedie a dondolo, deserto. Lui, Sam, scolpisce il monumento postumo del cowboy: cappellaccio e jeans, cammina a gambe larghe e spalle curve, si gratta il naso, gioca con il lazo, annusa gli stivali, apre
la porta a calci e si attacca allo scotch per sopravvivere, o per ricordare. Lei, bionda e sciatta, si spoglia e si veste, allunga le gambe, si mostra e si ritrae, attende. Lui è indeciso tra donne e cavalli, come nei vecchi western. Lei è indecisa se assomigliare e Marylin in The Misfiste a Jessica Lange in Country. Poi, all'improvviso, la tragedia esplode. Un solo bacio. Tanti colpi bassi. Qualche colpo di pistola. E il fuoco del finale: per scoprire dietro la follia d'amore il dramma incestuoso della fraternità (che è tema Shepardiano) ma anche (nel volto rugoso di Harry Dean-Stanton) il mistero insondabile della paternità (che è invece indiscutibilmente Wendersiano). Che Wenders abbia finalmente trovato in Altman il suo "amico americano"?
Gianni Canova Segnocinema n. 25, novembre 1986
Critica (2):
Critica (3):
Critica (4):
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