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Eraserhead-la mente che cancella - Eraserhead


Regia:Lynch David

Cast e credits:
Sceneggiatura:
David, Lynch; fotografia (bianco e nero) Frederich Elmes e Herbert Cardwell; effetti speciali: David Lynch; effetti sonori: Alan Splet (la canzone di Laurel Near è scritta da Peter Ivers); interpreti: John Nance (Henry Spencer), Charlotte Stowart (Mary), Jeanne Bates (la madre di Mary), Allen Joseph (il padre di Mary), Judith Anna Roberts (la vicina di casa), Laurel Near (la cantannte del termosifone); produzione: American Film Institute, Los Angeles; distribuzione: Angelo Azzurro Media (CLAB, Cinedistributori Associati); origine: USa, 1976; durata: 89'.

Trama:Henry Spencer, tipografo, vive da solo in uno squallido appartamento fra le allucinazioni che la sua mente malata visualizza. Durante un grottesco pranzo in casa dei suoceri, appreso che la sua ragazza Mary è incinta, viene obbligato a sposarla, Nasce un 'baby' mostriciattolo orrendo e frignante che la madre, disgustata, abbandona alle cure di Henry il quale, esasperato, lo uccide. Dal corpo in disfacimento del piccolo fuoriescono esseri strani che infestano la casa e la vita di Henry.

Critica (1):Terminato nel 1976, dopo una lavorazione durata cinque anni sulla scorta dei finanziamenti a singhiozzo provenienti dall'American Film Institute e da altre fonti, trovate con fatica dall'autore, Eraserhead fa il suo esordio in una sala di Los Angeles. I Cahiers du Cinéma, in un articolo dedicato al culto di questo film, informano che l'opera di Lynch alla prima uscita riscosse un debole successo. Questo arrivò crescente da quando si iniziò a programmarla a mezzanotte In alcune.sale di New York e della West Coasi, continuando un'esperienza già avviata con El Topo di Jodorowsky e proseguita trionfalmente con The Rocky Horror Picture Show.
La stretta funzionalità di Eraserhead alle proiezioni della tarda nottata ebbe una clamorosa controprova nel 1980 quando, a seguito dei successo dì critica e di pubblico ottenuto da Lynch con Elephant Man, il primo lungometraggio del regista venne ripresentato in un locale newyorchese in orario normale: fu un completo fallimento. Condannato a essere un midnight movie, il film afferma definitivamente la propria radicale estraneità al contesto cinematografico e alle sue pratiche. Già la lunghezza della realizzazione l'aveva posto al di fuori della dinamica domanda - offerta, a cui la produzione hollywoodiana, anche se povera, anche se indipendente, anche se concettualmente avanzata, di solito fa riferimento. Lo sbocco in un mercato imponderabile, caratterizzato da teniture a tempo indeterminato e da aspettative in gran parte extracinematografiche, sottrae li film al ciclo di sfruttamento del prodotto, lo rende un unico, eppure reinventabile a ogni successiva visione, in qualche modo un non - film: un "oggetto" (come il misterioso asteroide) alla deriva nelle notti insonni dei suoi cultori.
Ciò che potrebbe differenziare un film di mezzanotte dagli altri è la sua riutilizzabilità: la maggior parte degli spettatori sono alla seconda o terza visione e non sono più soggetti alle sorprese dei racconto cinematografico. Cade nei loro confronti il fascino di una scoperta "dal buco della serratura", fatta di rivelazioni successive e di continue modifiche nel rapporto fra ciò che è mostrato e ciò che si immagina o si pre-vede. È questa una condizione che si realizza nel completo distacco, così come è percepito dal pubblico, fra lo schermo e la sala. Si capta qualcosa che avviene "altrove" e di cui non si può aver certezza; il che trasmette, nella progressione conoscitiva, l'effetto di una successione.
Il film visto più volte viene recepito invece come totalità e l'interesse dello spettatore in tal caso può essere suscitato soltanto dalla possibilità di smontare e riutilizzare l'oggetto nella situazione sala, che diventa il vero luogo di definizione del film. I rituali collettivi scatenati anche a Milano da The Rocky Horror... sono culminati in un inscenamento della vicenda (in parallelo con la proiezione) da parte di spettatori-attori, vestiti e atteggiati nell'identica maniera dei personaggi. Ma in questo sdoppiamento puramente imitativo, nella teatralizzazione (suggerita, non c'è dubbio, dalla struttura musical), il film ha terminato il suo percorso sotterraneo, in dialettica con suggestioni private e desideri inconsci, per approdare a una manifestazione goliardica. Le "creature della notte" sono state esorcizzate e il limbo sessuale dei personaggi ricondotto, attraverso la mascherata davanti allo schermo, alla semplice esibizione di un trucco.
Va detto però che The Rocky Horror... appartiene fin dall'inizio alla cultura camp - warholiana degli anni Sessanta, a un grottesco degradato, volutamente contrario (ma quanti l'han capito?) a un'amplificazione fantastica e a una reinvenzione che non sia ripetizione di stereotipi. Eraserhead, quantunque attraversato dallo stesso orrore della procreazione e animato da una coppia di sposi ugualmente perbenista e candida, appartiene all'epoca dei punk, a una visione alienata, non mediabile, della realtà: non più colori kitch e sfondi carosello, ma un universo metropolitano in bianco e nero, reso assoluto e nello stesso tempo atomizzato in dettagli che negano la possibilità di raffigurarsi un insieme, producendo l'effetto di un'apocalissi incombente. Macchinari da archeologia industriale e ponti in cemento armato, sbuffi di locomotive a vapore e sibili di jet: la città è un accumulo di reperti eterogenei, un'entità ormai senza tempo, tendente al caos originario.(…)
La pittura di Francis Bacon, esplicitamente citato da Lynch. In un'intervista, pare il riferimento più probabile: la sfigurazione dell'immagine, il suo corrompersi sotto una luce impietosa e nello stravolgimento della prospettiva, la contemplazione della caduta dell'umano come disfacimento della sua rappresentazione e sedimentazione di forme mostruose, sono i tratti del pittore inglese che hanno esercitato un forte fascino sul regista. Accomuna entrambi la metafisica dell'orrido: la caduta non si lascia fissare in un'immagine negativa, è vertigine e trasformazione.(…)
Ludovico Stefanoni, Cineforum n. 212, marzo 1982

Critica (2):Incubo psichedelico? Incursione nell'angoscia del surreale? Può darsi, ma la grandezza di Eraserhead (e di The Elephant Man, ad esso intimamente legato nella problematica dell'ombra come involucro uterino del mondo) non è legata ad una visionarietà che non basta, da sola, a costruire un capolavoro. Pur essendo stato partorito e cresciuto, tra il 1972 e il 1976, nei meandri dell'underground il film di Lynch impone allo spettatore un dilemma tutt'altro che "sperimentale", anzi caratteristico della narrativa "gotica" e del grande racconto fantastico in generale: chi ha generato il mostro per la cui malattia il padre adottivo riesce a trepidare? Chi ha spedito a Henry Spencer l'involucro contenente il misterioso proteo che occuperà tanta parte dello spazio nella squallida stanza abitata dagli sposi? Non otteniamo risposta, ma vediamo in viso colui che, solo, è in grado di dirlo, l'individuo deforme e titanico che, all'inizio del film, muove le leve di un universo negativo e di una narrazione interamente giocata sul non detto, sul non visto: come è inevitabile, in un mondo fotografato in assenza di luce e corrotto dal confondersi degli oggetti con una vita cui viene imposta una progressione minimale, anomala (com'è evidente nella presenza ossessiva degli arbusti rinsecchiti in ogni locale in cui la macchina da presa è imprigionata). Ogni volta che il sogno o l'allucinazione penetra nella stanza del protagonista, il suono stridulo, insopportabile di questa genesi caotica si rovescia nel silenzio di una luce abbagliante, liberatoria, che il demiurgo (dopo aver illuminato le cose d'una luce insufficiente, malferma) non riesce a fermare. Dalle scintille dalle leve bloccate scaturisce la stessa luce di cui il cinema ha bisogno per esistere. Il secondo dato di originalità di Eraserhead consiste infatti nella deliberata identificazione dello sguardo dell'obiettivo (introdotto all'inizio del film da un cenno di sfida alla cinepresa da parte di Henry nel meraviglioso esterno iniziale) con una "realtà" degna di esistere solo in quanto residuo orrorifico del sogno. Dalla testa di Henry una fabbrica di matite ricava, appunto, la gomma dalla cui polvere rinascerà la vita cosciente. Nell'esistenza del giovane tipografo la presenza del mostro rimane un dato costante; almeno fino al momento in cui, liberato dalle fasce che lo immobilizzavano, la sua azione sarà rivolta al raggiungimento fisico dell'unica debole fonte di luce del tugurio. Quel che in The Elephant Man sarà la formalizzazione di una creazione ciclica ("inventata" sugli interstizi d'un visibile somigliante ad un iceberg, come la cattedrale ricostruita da John Merrick), in Eraserhead è quindi ancora l'impeto di una creatività disperata morale ma insistentemente razionale. Per questo motivo il talento spontaneo di David Lynch, dopo gli esperimenti del cinema d'animazione, è già così maturo da potersi "mostrare" in un film che non poteva essere girato che nell'oscurità.
Paolo Cherchi Usai, Segno cinema n. 3 marzo 1982.

Critica (3):

Critica (4):
David Lynch
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