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N-Capace


Regia:Danco Eleonora

Cast e credits:
Sceneggiatura: Eleonora Danco; fotografia: Daria D'Antonio; musiche: Markus Acher; montaggio: Desideria Rayner, Maria Fantastica Valmori; costumi: Alessandro Lai; suono: Adriana Di Lorenzo, Maurizio Argentieri; interprete: Eleonora Danco; produzione: Angelo Barbagallo per Bibi Film in collaborazione con Rai Cinema; distribuzione: ? ; origine: Italia, 2014; durata: 80’.

Trama:Alla morte della madre, "Anima in pena" intraprende un viaggio tra Terracina e Roma per ripercorrere i luoghi dell'infanzia e tentare di risolvere il conflitto con il padre. Nello struggimento che la sovrasta, “Anima in pen”a si ferma a parlare con anziani e adolescenti e li interroga...

Critica (1):Un'adozione in piena regola. Nanni Moretti è rimasto incantato da N-capace, il film con cui l'attrice e autrice teatrale Eleonora Danco ha debuttato come regista e ha deciso di prendersene cura. Dal giorno di uscita, dopodomani, distribuito da Bibi Film, lo terrà in programmazione al Nuovo Sacher per due settimane al primo e ultimo spettacolo. Qualcosa di simile avverrà a Bologna, al Lumière, e a Milano nel circuito Spaziocinema. «Lo considero un grande onore, mi sembra già una vittoria» commenta Danco che al Torino Film festival ha ottenuto la menzione speciale della giuria guidata da Ferzan Ozpetek. E ha stregato Markus Acher dei Notwist, mago tedesco dell'elettronica, che ha accettato di scrivere le musiche a scatola chiusa e, dopo averlo visto, è diventato fan di N-capace.
Un film insieme molto personale e universale. «Il mio primo pensiero è stato realizzare un'opera che fosse sì intima ma che arrivasse dritta al pubblico. Partire dal personale non per smania narcistica ma di condivisione. Ho usato lo stesso approccio che uso in teatro, lavorando sul livello emozionale, onirico e cercando il rapporto diretto con le cose, in questo caso la memoria. Poi certo, tecnicamente il lavoro per il cinema è tutto diverso». Una diversità affrontata tenendo nelle orecchie il consiglio dell'amico poeta Enzo Cucchi: «L'ho incontrato prima di cominciare, piena di dubbi: "Non so niente di cinema", gli ho detto. E lui: "Meglio!" Allora mi sono buttata». I riferimenti dichiarati sono Buñuel («Adoro il suo cinema, Bella di giorno l'ha girato che aveva quasi 70 anni e sembra ne avesse 30. E la sua vita»). E De Chirico. «Io vengo dal disegno, mi dà ritmo come fosse musica. De Chirico mi serviva perle inquadrature, mi piaceva usare la metafisica, quei suoi vuoti abitati ma non abitati. Nei suoi quadri ci sono sempre persone sole».
Persone sole come la protagonista, Anima in pena (Danco), che si aggira tra la Terracina dell'infanzia e la Roma della maturità vestita con un pigiama bianco («Lei è un po' il baricentro, rappresenta il disadattamento di tanti che non lo accettano, capaci ma anche non capaci»). Un letto su cui appoggiarsi, a volte un piccone da brandire contro nuove architetture (come il muro di Richard Meier) che rendono irriconoscibili i luoghi amati. O come gli altri protagonisti. Il padre che vive con la badante rumena. Gli anziani e i giovani pronti a rispondere alla voce fuori campo che li interroga su infanzia, sesso, amore, morte. Il rapporto con il tempo narrato da chi lo ha visto passare e chi ce l'ha di fronte. Mancano quelli della generazione di mezzo. «Sono troppo immersi nello stress quotidiano, mi interessavano le persone che galleggiano nella vita. I due poli: chi ha finito e chi è in attesa becketiana di buttarsi nella vita».
Alla base di tutto, una perdita, quella della madre. E alcune riprese, realizzate dieci anni fa, dopo la sua morte, del padre e della sua badante romena. «Ce la faranno questi due ad abituarsi uno all'altra? Come faranno a vivere insieme?». Immagini e domande anche imbarazzanti e sfacciate, che, insieme al suo lavoro in teatro, hanno colpito Angelo Barbagallo produttore con Raicinema di N-capace. Lunghissima gestazione («In assoluta libertà»), molte ore di girato, un primo montaggio poi completamente ribaltato. «Non bisogna aver paura di tirar fuori le cose irrisolte, difficili. Sono quelle che creano il movimento».
Stefania Ulivi, Corriere della Sera Roma, 17/3/2015

Critica (2):Lei si chiama Anima in pena, ammazza le domeniche di ansia a letto con le briciole di Gentilini, e nel viavai tra Terracina, il luogo dell'infanzia e Roma medita su cosa significa crescere, sulla solitudine, sui traumi e l'inadeguatezza di fronte alla vita. N-Capace, esordio al cinema di Eleonora Danco, autrice e attrice di teatro e per la radio arriva in sala (...) dopo la rivelazione (applauditissimo) al Festival di Torino, dove era in concorso, e molti premi tra cui la nomina a film dell'anno del Sncci – il sindacato dei critici italiani. Rivederlo a distanza di qualche mese lascia intatta la magnifica sorpresa della prima visione, e anzi spalanca nuovi possibili itinerari di lettura. Perché N-Capace è un film di libertà geometrica, e di continua invenzione, che spiazza lo sguardo nel modo di raccontare, e costruire gli spazi e i rapporti con gli universi di fronte ai quali si pone. E anche se la regista ne è interprete, punto di vista e riferimento narrativo in una scopertissima autofinzione, non è soltanto un film alla prima persona.
Danco che dice di essersi ispirata ai surrealisti, a Giotto, a De Chirico e a Buñuel, libera una tensione in cui la cui verità della scrittura visiva passa attraverso la fisicità dei corpi. Una fisicità performativa e di primi piani, di sguardi e di conflitti, con la macchina da presa che incalza i personaggi, e la regista stessa, cercando il punto di rottura di un sentimento fragile nel quale tutto è lecito e ci si può credere, anche che a Terracina ci sono i licantropi. Lei intanto come una maga mescola frasi, imbarazzi e confessioni con umorismo, autoironia, dolorosa consapevolezza. Scompone, ricompone, complici la libera precisione del bel montaggio di Desideria Rayner, e l'eccentricità elettronica delle musiche di Maricus Archer, confonde memorie e tracce di una città che non c'è più, Roma, e di cui odia le mutazioni, scruta la spiaggia dove da bambina aspettava il permesso della mamma per fare il bagno.
Picconatrice su un letto bianco provoca, mette all'angolo, ci fa ridere di impacci e di luoghi comuni con le sue domande sul sesso, sul piacere, sulla prima volta, sull'amore, sui sogni per il futuro, tracciando la linea di un paesaggio umano che divide a metà. Da una parte il presente degli adolescenti, dall'altra la memoria degli anziani. In mezzo c'è solo lei, unica adulta, che oscilla con i suoi ricordi e con le sue angosce. Eccoci dunque tra i ragazzetti per i quali le donne sono tutte un po' troie, e una donna che gode va bene per divertirsi ma non per sposarsi. E studiare è noioso specie se ti sei iscritta alla scuola di parrucchiera come Maria, e i libri come gli altri sedicenni tra la piazzetta di Terracina o nelle periferie romane non li leggono più. C'è chi si pensa idraulico o pizzettaro e se votasse non ci andrebbe: «Morissero tutti». E chi mangia tantissimo e mangiare è una delle tre cose più belle della vita insieme a scopare e a cacare. Agli anziani chiede della loro giovinezza, sono donne e uomini nella campagna e negli appartamenti, le loro storie raccontano fidanzati e mariti violenti, padri autoritari, fatica, chi come Amelia a sei anni raccoglieva le olive ed era un gioco. Il sesso lo dovevi scoprire da solo, e le braccia nude erano vietate. Sono storie, vissuti, lei ascolta, non giudica: i suoi personaggi li avvicina con discrezione, nell'inquadratura frontale lascia affiorare la realtà.
Al centro di questa sfida c'è il corpo a corpo tra la regista e suo padre, motivo che tiene insieme tutto, da cui partono e dove ritornano le altre storie. Di cosa parlano i due? Della mamma che è morta anni prima, dell'infanzia e dei tabù: dimmi se avevi avuto rapporti prima della mamma incalza la regista. O: perché quando in televisione c'era la pubblicità dei tampax cambiavi canale? L'uomo a differenza degli altri rifiuta di rispondere ai perché è sua figlia, e l'intimità perciò è impossibile. Ma lei non si arrende, lo provoca sulla solitudine e sui ricatti affettivi, ed è in questo spazio che si manifesta la tensione della realtà, come se il conflitto padre/figlia si trasformasse nel conflitto delle immagini tra l'occhio di chi filma e chi è filmato dichiarandone la messinscena e la profonda verità.
« Di’ che sono un'anima in pena», grida all'uomo Eleonora. Non posso, non voglio replica lui. E le resiste, si sottrae, sceglie il silenzio. Ma è il mio film, me lo rovini devi dire questo e quello insiste lei, devi dire che sono una incapace, che non ho combinato nulla; non lo penso dice lui, e lei scopre di nuovo la finzione, la rivela per attirarlo nel suo gioco. Così, messo in difficoltà, è costretto a ammettere che in fondo preferisce vivere con la badante che con quella figlia martellante nella casa in cui entrambi all'improvviso appaiono come degli astronauti.
Questo entrare e uscire dal bordo delle immagini (della vita?) è forse la cifra più forte del film le cui determinate improvvisazione mettono alla prova le nostre abitudini di spettatori un po' come tutti i personaggi. E però non si può che seguire questa flaneur vagabonda, nuda o vestita di bianco, nei suoi contorcimenti rabbiosi e insieme pieni di malinconia, che infine ci parlano di noi e di un tempo collettivo, in quella forbice tra vecchiaia e adolescenza, lo spazio del possibile e del tutto è accaduto, dei sentimenti palesi e in cui ancora rimane un lato di mistero. Il cinema nasce lì.
Cristina Piccino, il manifesto, 19/3/2015

Critica (3):I suoi spettacoli teatrali, sempre molto estremi, si chiamano Ragazze al muro, Me vojo sarva', Ero Purissima (dove "ero" naturalmente sta anche per eroina), Intrattenimento Violento. l temi su cui batte e ribatte sono il corpo, il piacere, il dolore, la solitudine, la famiglia, quel grumo di occasioni mancate e eventi incancellabili che chiamiamo memoria. E il personaggio biancovestito che si aggira nel suo primo film come un fantasma – lei stessa naturalmente – si chiama Anima in Pena.
Però Eleonora Danco non parla solo di sé, della sua infanzia o del rapporto con i genitori, ma tende ai personaggi che incrocia tutto quel bagaglio di emozioni sepolte come se fosse uno specchio. E loro ci si tuffano dentro, aprendosi e rivelando cose inaudite, con un misto di candore e strafottenza che diverte, commuove e a tratti evoca addirittura Pasolini.
Anche perché N-capace, (...) è tutto girato fra Roma e Terracina. Alternando le apparizioni surreali dell' autrice e di suo padre, tormentato da domande indiscrete, a una serie di incontri con vecchi e adolescenti che parlano di tutto. Di Dio, di cibo, della morte, della loro prima volta, dei costumi sessuali dei loro coetanei, del papà che se n'è andato con un'altra o delle botte che prendevano in gioventù dal marito. Con una semplicità, un'immediatezza e insieme una profondità che lasciano stupiti e commossi. Come succede solo quando un film scompiglia tutti i generi per avventurarsi su un terreno nuovo che mescola allegramente autobiografia, inchiesta sul territorio, psicanalisi selvaggia. Con immagini lievi e ricercate, «fra Giotto e De Chirico», dice la Danco. E se i critici evocano Rezza, Moretti o Ciprì e Maresco, lei dice «piuttosto Buñuel, la sua autobiografia ancor prima dei suoi film».
«Ho iniziato dieci anni fa, subito dopo la morte di mia madre, riprendendo mio padre e la sua badante romena», ricorda. «Ce la faranno questi due ad abituarsi uno all'altra? Come faranno a vivere insieme?». Le prime scene colpiscono Angelo Barbagallo, storico produttore di Nanni Moretti, che la incita a proseguire e la sostiene. Poi arrivano la Rai, una lunga preparazione («Sul set mi sembrava di volare»), due diversi montaggi perché un film così si "scrive" in moviola, le bellissime musiche elettroniche del tedesco Markus Acher, il successo al Festival di Torino. E pensare che all'inizio l'autrice era terrorizzata.
«Prima di iniziare – ricorda – incontro il pittore Enzo Cucchi, mio amico. Gli dico: come faccio, non so niente di cinema. E lui: Meglio! Così mi sono buttata». N-capace porta i segni di questa passione pittorica. Nulla è mai "al naturale". Vecchi e ragazzi abitano luoghi insieme familiari e mitologici. Alberi, campagne, spiagge, boschetti. «Sono cresciuta al mare. Il Circeo era la prima cosa che vedevo nell'infanzia. Il mare lo sentivo anche dalla mia stanza. La libertà di quegli anni mi è rimasta dentro, fisicamente».
Ma perché solo anziani o adolescenti? «Gli adulti non hanno molto da dire, sono sommersi dallo stress, non ce la fanno. A me interessava la gente che galleggia, che coniuga angoscia e vitalità. Mi piace il senso di attesa di quelle età. L'attesa della fine e quella dell'inizio. Da qui nasce il turbine del film, la sua energia. Cercavo una tensione che non passa attraverso il racconto ma la visione. Li faccio partire da un trauma, un conflitto, trasformandolo in una risorsa. Se non lavori sul contesto sociale ma sull'intimità, alla fine si aprono. Mi dicevano cose incredibili! Ma eravamo alla pari. Gli strappavo cose pazzesche, ma le strappavo anche a me».
E a suo padre, che nel film subisce le domande più imbarazzanti. Anche se poi la Danco magari "stacca" sul fantastico balletto della badante romena in tuta da astronauta. «Fare questo film è stato come far sega a scuola. Sul set avevo 16 anni. E questo che dovevano sentire i miei personaggi». È questo che dà a un film così personale una dimensione così universale.
Fabio Ferzetti, Il Messaggero, 10/3/2015

Critica (4):
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