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Peggy Guggenheim: Art Addict


Regia:Immordino Vreeland Lisa

Cast e credits:
Soggetto: biografia "Peggy: The Wayward Guggenheim" di Jacqueline Bograd Weld sceneggiatura: Lisa Immordino Vreeland, Bernadine Colish; fotografia: Peter Trilling; musiche: Steven Argila; montaggio: Bernadine Colish, Jed Parker; produzione: Stanley Buchthal, David Koh, Dan Braun, Lisa Immordino Vreeland per Dakota Group Ltd.-Fischio Films-Submarine Entertainment, in associazione con Bob & Co; distribuzione: Feltrinelli Real Cinema/Wanted; origine: Usa-Italia-Gran Bretagna, 2015; durata: 80'.

Trama:Grazie a un accesso senza precedenti ai materiali d'archivio, e in particolare alle registrazioni di una lunga intervista rilasciata poco prima della morte e finora considerata perduta, il documentario offre - anche attraverso la vera voce di Peggy Guggenheim - il ritratto di una figura sempre in anticipo sui tempi, anticonformista e "scandalosa". Sullo sfondo dei più importanti, e spesso drammatici, avvenimenti del XX secolo (dal naufragio del Titanic, in cui perse la vita il padre, alla Seconda guerra mondiale), Peggy Guggenheim ha segnato un'intera epoca, diventando un punto di riferimento dell'arte moderna e intrecciando la sua esistenza con quella di artisti e intellettuali come Samuel Beckett, Max Ernst, Jackson Pollock, Alexander Calder, Marcel Duchamp.

Critica (1):Peggy ha una voce monotona, insicura, modulata sull'accento della high class newyorchese. Racconta con noncuranza atroci episodi, per esempio di come il primo marito, lo scultore dada Laurence Vail, la calpestasse, camminandole addosso. «Quando finalmente ho acceso il registratore ho provato una gran frustrazione», ricorda Lisa Immordino Vreeland, già autrice di un film sulla nonna di suo marito, la favolosa fashion editor DianaVreeland, e ora del docufilm Peggy Guggenheim Art Addict che, dopo un party promosso ieri sera dalla Safilo, verrà proiettato lunedì 14 nelle sale del circuito «The Space Cinema». «Non potevo credere che una donna che continuo a considerare coraggiosissima nel reinventare se stessa potessesuonare così priva di emozione». Eppure quei nastri, finora inediti, costituiscono la pietra più preziosa del film. Quelli, più alcuni fenomenali fotogrammi girati a Parigi dalla nonna di uno dei dirigenti del MoMA, che dopo lunghe esitazioni li ha concessi a Immordino: Brancusi e Duchamp, e Pablo Picasso, e Gertrude Stein, e Alice B. Toklas, non più raggelati nelle fotografie d'epoca ma come usciti, vivi e sorridenti, da «Midnight in Paris» di Woody Allen. Kandinsky e Pollock.
I nastri riproducono invece le conversazioni tra la Guggenheim e la sua ultima biografa, Jacqueline Bogard Weld, e sono stati a lungo considerati perduti. «O, per lo meno, Jacqueline si era, diciamo così, dimenticata di averli», rievoca Lisa Immordino. «La mossa vincente è stata quella di opzionare il libro, anche se ho finito per non usarlo come traccia per il mio lavoro. A poco a poco sono entrata in confidenza con Jacqueline. Che ha finito per dirmi: prova a fruga-re in cantina, e già che ci sei mettimi anche in ordine un po' di scartoffie. Nell'ultima scatola, e dentro una scatola più piccola, era nascosto il tesoro».
Non aspettatevi rivelazioni pruriginose: Peggy aveva già detto tutto nell'autobiografia, Una vita per l'arte, che contribuì in maniera rovinosa ad alimentare la leggenda dell'ereditiera ninfomane. Il brivido sta tutto nell'ascoltare una voce, quella voce, provenire direttamente dallo scrigno favoloso delle avanguardie novecentesche. La non originalissima Bogard Weld le chiede se nei suoi interessi vengano prima l'arte o gli artisti, e lei risponde che naturalmente «viene prima l'arte», e che i pittori «talvolta sono deludenti, ma talvolta meglio delle loro opere: comunque, diversi da come te li aspetti». E siccome quella è la donna che diede visibilità alla migliore arte del XX secolo, te la figuri nella Parigi alle soglie dell'occupazione tedesca, quando comprava un quadro al giorno dai mercanti e dai pittori in fuga; patronessa di Kandinsky e Tanguy, Calder e Braque, e del crudele Max Ernst che la sposò e la tradì moltissimo; e mecenate di quel ragazzo un po' spostato e bevuto che vomitava sui tappeti, quando invitava per lui la crème della società newyorchese, ovvero Jackson Pollock.
Ha ragione Lisa Immordino quando sottolinea come spesso si tratti, ancora, di difendere Peggy dai pregiudizi che la circondano, e cioè dal personaggio della «socialite» di enormi mezzi economici e di scarsa avvenenza (il naso a patata dei Guggenheim! e quell'operazione di rinoplastica interrotta catastroficamente a metà), molto promiscua sessualmente e in balìa degli «advisor», cioè dei buoni consiglieri. «E invece Peggy aveva un suo sguardo, un suo gusto e una generosità unica nella storia del Novecento: ha sempre sognato di mettere la collezione a disposizione del mondo. Nessuno come lei ha spaziato con grande larghezza di vedute tra New York, Londra, Parigi e Venezia. Ma non è mai stata felice, temo: lo si coglie dall'espressione del viso, teso e sconvolto dai tic, in certi filmati degli ultimi anni a Venezia. Paga il tributo a una vita tragica, con le persone che ha amato davvero morte tutte prestissimo». A cominciare dal padre affondato sul Titanic, per finire con la figlia Pegeen, pittrice, suicida. Solo i quadri riscattano Peggy dalla propria leggenda amara. Come si potrà verificare fin dal 19 marzo con una grande mostra a Palazzo Strozzi.
Egle Santolini, la Stampa, 11/3/2016

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