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Bidone (Il)


Regia:Fellini Federico

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Federico Fellini, Ennio Flajano, Tullio Pinelli; fotografia: Otello Martelli; scenografia: Dario Cecchi; musica: Nino Rota; montaggio: Mario Serandrei, Giuseppe Vari; scenografia e costumi:Dario Cecchi; interpreti: Broderick Crawford (Augusto), Richard Basehart (Picasso), Franco Fabrizi (Roberto), Giulietta Masina (Iris), Lorella de Luca (Patrizia), Riccardo Garrone (Riccardo), Giacomo Gabrielli (baron "Vargas"); produzione: Titanus; origine: Italia, 1955; durata: 104'.

Trama:Augusto è un truffatore di modesto calibro che agisce in società con Roberto e Picasso. Quando la moglie di Picasso comincia ad avere dei dubbi sull'attività del marito, questi tronca ogni rapporto con i complici. Augusto, invece, che da tempo ha lasciato la famiglia, per aiutare la figlia compie un'altra truffa. I suoi nuovi compari non glielo perdoneranno...

Critica (1):Il bidone affronta pur sempre, come diceva Pasquale Ojetti su "Cinema", n. 151 (25 settembre 1951), "un problema sociale importante" e "potrebbe rappresentare un passo importante, una svolta decisiva in Fellini alla ricerca di una poetica della realtà, lontana dall'autobiografismo". E Aristarco si chiede, su "Cinema nuovo", n. 67 (25 settembre 1957), se per caso il regista del Bidone non "cerchi di rivedere la materia trattata con autocritica, con una maggiore consapevolezza e magari con il tentativo di avanzare giudizi più aperti e concreti". Tuttavia Pinelli, l'inseparabile collaboratore di Fellini, avverte: "Il bidone si delineò come un film d'ambiente collettivo, ricco di personaggi e di situazioni, strutturalmente simile ai Vitelloni". In effetti, Fellini concede molto meno di ciò che sembra e prosegue imperterrito nella reinvenzione mitologica delle sue esperienze private, usando i personaggi del nuovo film non per sviluppare un'"azione" drammatica, ma, al solito, come articolazione organica di una condizione interiore unitaria. Augusto, Picasso e Roberto sono le "facce" di uno stesso personaggio. Non un "bidonista" ideale che l'autore avrebbe "diviso in quattro parti", come crede Ojetti, includendo anche la figura di Rinaldo, l'arricchito; bensì, ancora una volta, la concretizzazione magica di una "dialettica" interiore o, più semplicemente, la risposta scenica ai soliti interrogativi, ansie e aspirazioni del Fellini moralista di se stesso. In una parola, è ancora Moraldo il protagonista, anche se la sua fantasia s'è creata degli interlocutori. Solo così si spiega la "irrealtà" dei personaggi, la loro esistenza trasognata e come legata ad un filo invisibile, che ne controlla ogni movimento e che in fondo li rende "mostruosi". I loro discorsi restano a livello di tema da svolgere, di suggerimento per dibattiti da cineforum. Non saremmo d'accordo, invece, con quanti hanno voluto sottolineare la frammentarietà del film, quel suo disperdersi in episodi legati in modo esteriore ed anche un po' troppo insistiti (ad esempio, N. Ghelli, "Bianco & nero", XVI, 9-10 settembre-ottobre 1955). Che Il bidone non abbia uno sviluppo lineare preciso è vero, ma non è certo una novità nello stile di Fellini. Vogliamo dire che la struttura portante dei suoi film non è mai la coerenza né tantomeno la progressione narrativa.
Fellini costruisce le sue opere badando esclusivamente a ripetere una certa dimensione rituale, che pone le scene su un piano di rappresentatività statica e quindi di "autonomia" espressiva. Certo, nell'ambito di un film, possono esserci delle sequenze maggiormente riuscite, ma questo tipo di validità è sempre da commisurare alle particolari esigenze del regista, per il quale la tipicità di un gesto o di una situazione, di una parola, di uno sguardo, di una luce o di un panorama ha più valore significativo di ogni svolgimento drammatico. Gli "episodi" del Bidone sono staccati l'uno dall'altro semplicemente perché trovano la loro ragione appunto all"`esterno" del film, sono cioè originati dall'esigenza di far forma rituale ad una mitologia precostituita. Diremmo, piuttosto, che rispetto a I vitelloni, cui Il bidone rimanda come ad una matrice mitica, quest'ultimo film di Fellini ha trovato un serio ostacolo in quel tentativo di compromesso "realistico", che ha portato il regista alla ricerca affannosa di dati sociologici fuori dalla sua portata di osservatore contemplativo e solitario. Per la prima volta Fellini ha pensato per un suo film a una documentazione "programmatica" e il risultato è stato, ovviamente, di trovarsi di fronte a una realtà molto diversa da quella della semplice immaginazione. I "bidonisti" risultano figure molto "pratiche" e a volte addirittura spietate nel condurre la lotta per l'esistenza. Il loro mondo è completamente squallido e arido. Succede, allora, che Fellini si trova a dover sovrapporre un'immagine interiore a un dato di fatto. Il suo personaggio-base (Moraldo, per intenderci) non avrebbe mai potuto essere un bidonista "vero" e un bidonista vero non aveva, almeno a stare ai risultati dell'inchiesta profilmica, i problemi di Moraldo. La "simpatia" (che ha dato fastidio a molti) provata da Fellini per i personaggi del Bidone non è la simpatia per gli autentici farabutti, ma per le qualità nascoste (nemmeno poi tanto) dietro a quei manichini o simboli; che sono le sue qualità, di Fellini uomo. Un uomo che "finge" (con i suoi film) di avere ancora dubbi sulla sostanziale bontà della propria pasta, che ingrandisce- deformandoli- con gusto barocco o semplicemente sadico certi aspetti "negativi" della propria personalità per darci a intendere di essere tormentato da una specie di senso dell'obbiettività autocritica, o - che è lo stesso - da una necessità imprescindibile di confessarsi pubblicamente per espiare le colpe di cui non ha colpa. È questo rito della bugia, questo sacrificale della menzogna che nel Bidone, non trovando la coerenza del suo esclusivismo, cade, si frantuma in una serie disuguale di proposte retoriche. Bisogna, allora, fare un salto e portarsi al di là di questa dimensione schematica. Prendere lo schema (mal riuscito) come "pretesto", come occasionale punto di riferimento e, tralasciando ogni confronto genericamente "ideologico", puntare all'individuazione di eventuali caratteri stilistici dell'opera, per recuperarne magari, dopo, anche l'ambiguità strutturale in nome di una rappresentatività artistica. E diciamo artistica nel senso di metodologica. Quello che ci interessa per un film come Il bidone, nato dalle premesse che abbiamo visto, è verificarne non il valore estetico, bensì la validità sul piano del procedimento artistico. Sempre, s'intende, in rapporto all'universo felliniano, che possiamo o possiamo-non accettare come "nostro" universo. Sul piano dell'identificazione stilistica, Il bidone ci sembra ricchissimo di indicazioni e di conferme. Più di una volta, nel corso del film, Fellini si ormai alle soglie della piena maturità. [...].
Franco Pecori, Fellini, Il castoro cinema, 1974

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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