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Favoriti della luna (I) - Favoris de la lune (Les)


Regia:Iosseliani Otar

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura:
Otar Iosseliani, Gérard Brach; collaborazione artistica: Catherine Foulon, Dimitri Eristavi, Leila Naskidachvili Fotografia: Philippe Théaudière; montaggio: Dominique Bellfort; scenografia: Claude Sune Suono: Alix Comte; musica: Nicolas Zourabichvili; interpreti: Katja Rupé (Claire), Jean-Pierre Beauviala (Colas), Christine Bailly (Agnès), Mathieu Amalric (Julien), Alix de Montaigu (Delphine Laplace), Pascal Aubier (signor Laplace), Bernard Eisenschitz (Gustave), Hans Peter Cloos (il commissario), François Michel (Philippe), Vincent Blanchet, Fanny Dupin; produzione: Philippe Dussart, SARL - FR 3 - RAI; distribuzione: Academy; origine: Francia, 1984; durata: 101'.

Trama:Veri protagonisti del film sono un ritratto del secolo scorso e un prezioso servizio di Sèvres. Una volta rubati, i due oggetti passano di mano in mano, in un carosello vorticoso di proprietari. Il denaro non si ferma mai; le fortune crollano e si creano improvvise; sentimenti e persone sono intercambiabili, perché così va il mondo.

Critica (1):Il primo aspetto è l'assenza di una struttura narrativa tradizionale. Manca una linea cronologica e logica che faccia da sfondo. Manca uno sviluppo diegetico unitario. Non c'è un personaggio o un gruppo di personaggi che catalizzi gli eventi. Non ci sono punti di partenza e punti d'arrivo nell'intreccio. A rigore non c'è neppure un intreccio, nel senso in cui normalmente si manifesta. La storia si frantuma e si ramifica in una serie di racconti minori, al cui interno potrebbe funzionare la successione diegetica; senonché i vari episodi rinviano l'uno all'altro in una reciprocità senza fine, circolarmente, perdendo il loro senso autonomo ed acquistando un nuovo significato solo nel disegno generale. I personaggi vanno per la loro strada, agiscono per una determinazione interiore, liberamente scelta; ma i loro destini si intrecciano e si intersecano, le loro azioni si condizionano vicendevolmente ed inconsapevolmente. I personaggi non hanno spessore psicologico, sono riducibili il più delle volte ad un unico tratto caratteristico: il genialoide sfortunato in amore, la prostituta dal cuore d'oro, il ladro di oggetti e di cuori, il cinico trafficante d'armi, ecc. La loro personalità non è soggetta s sviluppi nel corso della narrazione. Del resto perfino ciò che accade loro non ha molta importanza: si incontrano, si lasciano, si ritrovano, muoiono o finiscono in galera, comprano oggetti di valore e poi li perdono a favore di altri, che a loro volta se li faranno rubare, e così via. A differenza dei personaggi che vanno e vengono, appaiono e scompaiono come in un folle balletto, sono gli oggetti ad essere dotati di una certa permanenza, ad attraversare le epoche e i giorni passando di mano in mano. È il caso del bellissimo nudo femminile o dello splendido servizio di porcellana. È il caso di una antica dimora di campagna. Gli oggetti, più dei personaggi, sono protagonisti del film, unificano i racconti dispersi nella trama che non è più quella di una qualsiasi storia: è la trama della Storia, infatti, che affiora dalle pieghe dell'intreccio, nel continuo cambiare di mano degli oggetti, nelle improvvise povertà e nelle altrettanto repentine ricchezze, nel brusco voltafaccia della fortuna. Da questo punto di vista, Iosseliani persegue una riflessione sulla narratività, sulla impossibilità di raccontare una storia classicamente chiusa, omogenea e perfettamente autosufficiente. Perciò i personaggi non sono a tutto tondo, non emergono dalla folla di cui fanno strutturalmente parte, non hanno neppure un nome. L'autore non può più essere onnisciente. Rinuncia a fornire nessi e collegamenti fra gli eventi, ad illuminare i retroscena degli incontri e degli addii, a chiarire le cause e le motivazioni dei comportamenti e delle scelte, a cercare giustificazioni. Si limita ad un atteggiamento da testimone esterno che registra il frenetico volteggiare dei destini e delle sorti, lasciando al destinatario il compito di decifrare l'oscuro disegno del Fato o del Caso che presiede agli accadimenti. L'opera rimane aperta su una circolarità indefinita che non può trovare spiegazione né fondamento in se stessa, richiedendo di essere proiettata sullo sfondo della Storia, cui rinvia esplicitamente. Il piano-sequenza è funzionale a questa struttura narrativa. Iosseliani lo adotta senza maniacale esclusivismo o manierismi, senza rinunciare a spezzettare talora le sequenze. È un piano-sequenza fluido, che sottolinea la casualità degli incontri e degli abbandoni, la labirintica complessità dei sentieri che si intrecciano e si biforcano. Da un secondo punto di vista, il film mette in luce la vanità di tutte le cose umane. "Vanitas vanitatum" sembra fosse la frase-chiave ispiratrice dell'idea originaria da cui è nata la sceneggiatura, secondo una dichiarazione dello stesso Iosseliani. Gli uomini si affannano nelle loro occupazioni quotidiane, lottano per conquistare un posto su un taxi, si dannano per accumulare denaro e beni materiali, mentono, ingannano, fingono, tradiscono cercando il potere e il successo. Tutto è inutile. La sfortuna, la rovina, la morte possono incrociare da un attimo all'altro la loro strada. Tutto cambia. Il tempo passa e travolge i destini individuali, cancella enormi fortune, annulla carriere brillanti, spegne sogni e illusioni. Il tema è biblico. Ma il tono rifugge moralismi e catastrofismi. Lo stile è quello di un leggero, sottilmente ironico, balletto. L'ironia sta anche nel fatto che se tutto passa e muta, al di sotto delle trasformazioni di superficie tutto resta identico. Gli uomini muoiono o perdono tutto. Ma restano le loro opere. Esse, nonostante tutto, benché subiscano danni, per ignoranza, o per stupidità, o per disattenzione, ad opera degli uomini stessi, attraversano più o meno indenni i cicli storici. Anche le opinioni non mutano. La filastrocca declamata nel prologo sulla primordialità della caccia, sulla lirica del levarsi all'alba ed incamminarsi nei boschi, a contatto con la natura, sarà ripetuta dal commissario di polizia, invitato a cena dal trafficante d'armi. L'uomo, in fondo al cuore, non cambia. Cambiano le epoche, irrompono le guerre e le rivoluzioni, mutano i costumi e le abitudini, si civilizzano i comportamenti sociali. Ma l'impulso originario non subisce trasformazioni. Sotto le diverse maschere delle civiltà riaffiorano l'egoismo, la violenza, il cinismo. La grande metropoli moderna è ancora una giungla in cui dettano legge gli istinti primari, della sopraffazione reciproca. Tutti rubano, oggetti o sentimenti, poco importa. Tutti si affannano a dimostrare la loro esistenza nel possesso o nel potere. Ma la loro esistenza si rivela in breve un nulla, che il solo caso può stroncare o cambiare radicalmente. Il quadro è pessimistico, quasi tragico. Ma la cornice ha il tocco lieve della commedia, il gusto della gag, delle strane coincidenze, degli incastri imprevisti; la sceneggiatura e i dialoghi sono meccanismi perfetti, calibratissimi, efficaci come i congegni di Gustave.
Angelo Conforti Cineforum n. 248, ottobre 1985

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Otar Iosseliani
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