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Good morning Aman


Regia:Noce Claudio

Cast e credits:
Sceneggiatura: Heidrun Schleef, Diego Ribon, Claudio Noce, Elisa Amoruso; fotografia: Michele D'Attanasio; musiche: Valerio Vigliar; montaggio: Andrea Maguolo; interpreti: Valerio Mastandrea (Teodoro), Said Sabrie (Aman), Anita Caprioli, Amin Nur, Giordano De Plano, Adamo Dionisi, Sandra Toffolati; origine: Italia, 2009; durata: 103’.

Trama:Aman è un adolescente di origine somala, scappato da Mogadiscio e scampato alla guerra. Brillante e zelante lava le macchine in un salone d'auto, sperando di poterle presto vendere o addirittura guidare. Quando i giorni sono più bui e la Stazione Termini non è più abbastanza grande per contenere i suoi sogni, Aman sale sulle terrazze dell'Esquilino, immaginando una vita perfetta e un viaggio in Inghilterra. Concentratosi fino al sonno sulle sue aspirazioni, viene svegliato da Teodoro, un ex pugile depresso, sprofondato nel passato e incapace di combattere i suoi fantasmi. Soli e insonni, l'uomo e il ragazzo provano a loro modo a riempire l'uno la vita e la solitudine dell'altro. Dentro una notte romana troveranno con esiti diversi la soluzione al dolore e l'emancipazione dalla paura (di vivere).

Critica (1):Aman è un ragazzo di origine somala. Vive a Corviale, periferia romana, il più lungo palazzo del mondo. Parla romanesco meglio di Totti, ma il colore della pelle lo rende «straniero». I suoi amici sognano di mollare Roma e di vedere il mondo, di andare magari a Londra (e uno ce la fa), ma Aman vuole essere profeta in patria e poi si è invaghito di Sara, una ragazza che ovviamente non se lo fila per nulla. Aman ha una strana mania: gli piace salire sui terrazzi dei vecchi palazzi umbertini dell'Esquilino e osservare la città dall'alto. Su uno di quei terrazzi, una notte, incontra Teodoro: romano, 40 anni, ex pugile, scorbutico come pochi. Aman lo scoprirà solo tempo dopo, ma la sera del loro primo incontro Teodoro era uscito di casa per la prima volta da mesi, ed era salito in terrazzo per buttarsi di sotto. L'incontro con Aman gli salva la vita. È l'incontro fra due solitudini, e l'italiano è ancora più «scoppiato» e disperato dell'extracomunitario – che poi tale non è, essendo italiano a tutti gli effetti…
Raccontato così, Good Morning Aman potrebbe sembrare uno spaccato sociologico della Roma multietnica. Se poi aggiungiamo che è lo sviluppo di un documentario girato dallo stesso Claudio Noce – qui all'esordio nel lungometraggio – qualche anno fa, l'approccio da «cinema civile» diventa ancora più invadente. In realtà non è così: il film è soprattutto lo studio di due personaggi, ai quali il giovane Said Sabrie e il bravissimo Valerio Mastandrea aderiscono con grande, partecipe intensità. La regia, con inquadrature strettissime e mobili, è sì da cinema-verità, ma il film ha momenti onirici – come il finale simil-western – davvero sorprendenti. Noce è partito da un tema ma ci ha messo sopra uno stile. Mastandrea, anche produttore, è stato bravo e coraggioso a crederci.
Alberto Crespi, L'Unità, 13/11/2009

Critica (2):Si possono dire tante cose del primo lungometraggio di Claudio Noce, Good Morning Aman, presentato a Venezia nella Settimana della Critica. Perché è un film che ha dentro tanto, forse troppo. Il film di un regista che, dopo videoclip, pubblicità, documentari e cortometraggi pluripremiati, si cimenta con il lungo, dando una continuazione ideale al cortometraggio del 2007 che aveva lo stesso protagonista, e utilizzando riferimenti autoriali alti: i Dardenne, Pasolini, Cassavetes. E in questo sguardo cinéphile stanno il pregio e il limite del film. Il pregio: un regista che sa muovere la macchina da presa, che sta addosso ai personaggi (anche troppo, a volte) e li esplora e li mette a nudo, che ha il senso dell'inquadratura, che usa bene la musica (Elliot Smith sul protagonista che esce dall'ospedale lungo quel corridoio geometricamente asettico è una piccola chicca), che gira in maniera "sporca", documentaristica e raffinata al contempo, che apre alla Tarantino, con la grafica dei titoli di testa in stile B-movies e l'incedere alla John Travolta del protagonista nell'atrio di Termini, per andare su un realismo alla Dardenne nella parte centrale del film e per chiudere con un quadro surreale o per meglio dire ideale (il sogno è un altro degli elementi del film, importante; sogno e cambiamento, o possibilità di), ampi paesaggi montani e l'altezza, sì, l'altezza che è quella anche della terrazza in cui avviene l'incontro che porta al cuore della narrazione e dalla quale buttarsi, forse, o comunque aprire le braccia come un novello Cristo in croce... Il limite: questo virtuosismo indiscutibile e le tematiche importanti e le intenzioni dell'autore (lavorare sull'identità e parlare insieme di integrazione e di multiculturalità oggi, in Italia e in particolare a Roma che poi è una certa Roma, stazione Termini, l'Esquilino, piazza Vittorio, con i giovani immigrati di seconda generazione) fanno perdere un po' di vista la storia e i personaggi, che risultano alla fine poco approfonditi come poco approfondita e a tratti ingenua è la storia della loro amicizia, del loro stare insieme. Forse volutamente del resto, forse con l'intenzione di non dire troppo e di lasciare allo spettatore il compito di individuare i "pezzi mancanti". Quello che è interessante del film è comunque – al di là delle tematiche "forti" che presenta e che lo fanno assimilare a film recenti di registi a loro volta esordienti sull'immigrazione-integrazione in Italia quali Saimir, Cover Boy e se vogliamo anche il secondo film di Munzi, Il resto della notte – il suo essere un "romanzo di formazione" per i due protagonisti oltre che la storia di un incontro di due solitudini diverse, di due vite segnate dal passato e bisognose di sostegno in un presente da cui sembra che si possa solo difendersi, in cui sembra che ogni scelta sia sbagliata, inattuabile. Per ragioni personali, per ragioni storiche, per ragioni sociali. Un mondo senza speranza in cui la vita, un barlume di vita può darlo solo una persona che non ti conosce affatto e che ti guarda in silenzio, comprendendo, perché del tuo dolore si sostanzia il suo, sono lo stesso dolore e lo stesso vuoto. Dato dal non dormire. Dal passare ore e ore davanti alla tv. Dal non uscire più di casa, da tre anni. O dall'uscire solo in quel preciso momento, vestito di tutto punto, per ottenere il rifiuto ulteriore della tua donna. È interessante quest'amicizia senza parole dai risvolti psicanalitici forti, per cui il rapporto con Aman è per Teodoro una sorta di riscatto, che non basta però; interessante anche se non viene approfondita, interessante anche in quel finale – volutamente ambiguo e aperto – in cui i personaggi prendono strade diverse, ineluttabilmente diverse. Non a caso alla sceneggiatura ha contribuito Heidrun Schleef, creando un filo conduttore (un altro) con un certo cinema italiano recente (Riparo e Mar Nero per completare il quadro dei film su amicizia immigrazione e integrazione, a proposito – ancora – di pezzi mancanti). Concludo con una frase di Noce su Aman, personaggio ispirato a una persona reale, che sintetizza il senso del film: «Aman è un guerriero, che impugna una lancia affilata per trafiggere l'indifferenza»; che è quello che ci auguriamo in tanti, non solo per questo film.
Paola Brunetta, Cineforum n. 4901, 12/2009

Critica (3):

Critica (4):
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