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Free zone - Free zone


Regia:Gitai Amos

Cast e credits:
Sceneggiatura: Marie Jose' Sanselm, Amos Gitai; fotografia: Laurent Brunet; montaggio: Isabelle Ingold, Yann Dedet; scenografia: Miguel Markin; costumi: Aline Stern; interpreti: Natalie Portman (Rebecca), Hanna Laslo (Hanna), Hiam Abbas (Leila), Carmen Maura (Sig.Ra Breitberg), Makram Khoury (Samir), Aki Avni (Julio), Uri Klauzner (Moshe), Shredy Gabarin (incendiario), Liron Levo (doganiere), Tomer Russo (doganiere), Adnan Tarabshi (garagista); produzione: Nicolas Blanc - Michael Tapuach - Laurent Truchot per Agat Films & Cie - Agav Film - Agav Hafakot - Golem - Artemis - Cineart - Hammon Hafakot - Arte France Cinema - Scope Invest - Yisrael Eser - Channel - Yes Satellite - Rtbf - Bac Films - United King Films ; distribuzione: Istituto Luce; origine: Francia - Giordania - Israele, 2005; durata: 90'.

Trama:Rebecca, un'americana che vive a Gerusalemme da qualche mese, rompe con il suo fidanzato. Sale sul taxi di Hanna, un'israeliana. Ma Hanna deve arrivare in Giordania nella cosiddetta "Zona Libera", recuperare una grossa somma di denaro che un americano, socio di suo marito, le deve. Rebecca la convince a portarla con se, ma una volta arrivati, Leila, una palestinese, spiega alle due donne che l'americano non è là e che i soldi sono spariti...

Critica (1):Davanti al Muro del Pianto Rebecca (una struggente Natalie Portman), americana da poco trasferitasi a Gerusalemme, piange il suo amore perduto: è un lungo piano-sequenza intenso e suggestivo. Poi la ragazza persuade la tassista israeliana Hanna a portarla con sé nella "free zone" tra Stato d'Israele e Giordania, dove la donna intende recuperare una somma di denaro di cui il marito, rimasto ferito in un attentato, è creditore. A loro s'aggiunge la palestinese Leila, che dovrebbe condurle ai soldi. Le donne giungono in una terra di nessuno dove le rivendicazioni nazionalistiche sono messe tra parentesi, a beneficio del commercio. Film di esplorazione dei confini, Free Zone è un'allegoria intrisa di pessimismo sulle barriere contro cui s'infrangono i desideri delle persone: una mescolanza d'incomprensioni linguistiche, psicologiche, storiche, di traumi della memoria, di equivoci ideologici su cui prolifera la violenza. Gitai dirige un road- movie a ruota libera, un viaggio anarchico che sovverte la cronologia, sovrappone immagini febbricitanti, alterna scene nervose con altre contemplative, mischia il dramma con la commedia (vedi la lunga scena finale del litigio, dove la comicità del battibecco sottolinea la drammaticità della fuga di Rebecca). La cosa migliore del film è il modo in cui sa rappresentare il senso di oppressione che strige le eroine, tutte interpretate molto bene. Anche se, l'anno scorso, la giuria di Cannes decise di premiare solo l'israeliana Hanna Laslo.
Roberto Nipoti, La Repubblica, 12/5/2006

Critica (2):Free Zone, zona libera, materiale e mentale, area della "modernità", al di là degli antichi sentimenti irriducibili che contrappongono mondi a mondi in Medio Oriente. È la modernità che interessa Amos Gitai: "Voglio mostrare israeliani, giordani e palestinesi oggi, in un contesto moderno. In quello del passato, ognuno resta inchiodato ai nazionalismi. La modernità ha anche un lato buono. I templi furono distrutti, edifichiamo al loro posto un tessuto comune, un nuovo modo di comunicare". Infatti, Gitai evita la cartolina esotica, cammelli e tramonti: "della Giordania voglio mostrare vitalità e pulsioni, attraverso il traffico e l'animazione delle strade di Amman". Il regista israeliano ci mostra dunque un altro scenario, liberato come la Free Zone, dagli stereotipi, le insormontabili questioni che conducono al pessimismo e un'Intifada infiniti. Che ci siano conflitti, dice Gitai, ma senza guerra, senza sangue. È per questo che le sue tre protagoniste - un'americana, una palestinese e una israeliana - discutono fino allo sfinimento, fanno appello alle diverse storie, alle famiglie di provenienza, ma alla fine improvvisano un coro di voci su musica da hit parade, sparata a tutto volume nell'auto on the road. Obiettivo è un luogo, magicamente incastrato tra Giordania, Siria, Iraq e Arabia Saudita. Gitai entra e esce dai personaggi, li avvicina e li allontana, interpreta tutte le parti in una messa in scena brechtiana che in Free Zone ha un prologo particolarmente avvicente. Rebecca è Natalie Portman (Star Wars 3, la rivincita), piange sbilenca, un fermo immagine sulle sue lacrime disperate, sullo sfondo, oltre il vetro appannato, il Muro del pianto. Ha lasciato il suo uomo ebreo perché lei, figlia di un israeliano, non lo è. Eppure si sente di Gerusalemme dove non è nata. Parte con il taxi di Hanna (Hanna Laslo) per la "zona franca" dove l'israeliana riscuoterà una grossa somma dal socio americano del marito, ferito in un attentato. Brusca, pragmatica, sincera, si scontrerà con la palestinese Leila (Hiam Abbass) che rifiuta la violenza e vuole fuggire dalla Giordania. La free zone è la centrale per l'acquisto di auto blindate, e Hanna vuole i suoi 30.000 dollari, ma l'americano è scomparso...Gitai lascia i suoi interpreti sovrapporre i ricordi con il presente in dissolvenze incrociate, il plot sfuma nell'attualità, che il regista riporta alla metafora del conflitto. Eppure nel film c'è la promessa di entrare più del solito nei personaggi, corpi alternativi alle forme della politica: "Mi avvicino sempre più all'umanità dei miei personaggi - dice il regista - al modo di esprimere la loro complessità e le loro contraddizioni", e questo dà al suo cinema un'emozione nuova, l'euforia di scavalcare il muro insuperabile tra gli stati. Gitai, però, si ferma un attimo prima dell'incontro con Rebecca Hanna e Leila, e ci lascia sospesi. Le donne restano comunque materia viva di Free Zone, non più solo icone di una pace inquieta e possibile.
Mariuccia Ciotta, Il Manifesto, 13/5/2006

Critica (3):

Critica (4):
Amos Gitai
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