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Che strano chiamarsi Federico - Scola racconta Fellini


Regia:Scola Ettore

Cast e credits:
Sceneggiatura: Ettore Scola, Paola Scola, Silvia Scola; fotografia: Luciano Tovoli; musiche: Andrea Guerra; montaggio: Raimondo Crociati; scenografia: Luciano Ricceri; costumi: Massimo Cantini Parrini; interpreti: Tommaso Lazotti (Federico Fellini giovane), Maurizio De Santis (Federico Fellini anziano), Giulio Forges Davanzati (Ettore Scola giovane), Ernesto D'Argenio (Marcello Mastroianni); produzione: Paypermoon, Palomar-Istituto Luce-Cinecittà, con Rai Cinema, Cinecittà Studios, in collaborazione con Cubovision di Telecom Italia; distribuzione: Bim/Istituto Luce-Cinecittà; origine: Italia, 2013; durata: 93’.

Trama:Ricordo/ritratto di Federico Fellini, raccontato in occasione del ventennale della morte del grande artista: un film fatto di ricordi, frammenti, momenti e impressioni sparse, ricostruiti e girati a Cinecittà, e alternati a materiali di repertorio d'epoca, scelti dagli archivi delle Teche Rai e dell'Istituto Luce.

Critica (1):Che strano chiamarsi Federico! è il film di Ettore Scola che viene presentato oggi al Festival di Venezia (sarà presente anche Napolitano) e che sarà nelle sale dal 12 settembre. Ho avuto l'occasione di vederlo qualche giorno fa a Roma in una visione privata cui ero stato invitato dall'autore, mio amico da tanti anni. Non voglio certo rubare il mestiere ai nostri inviati; semplicemente desidero raccontare perché vedendo quelle immagini e ascoltando le parole e le musiche dell'opera di Scola, io mi sia profondamente commosso e come me moltissimi degli amici presenti.
Commosso non è la parola esatta, alla fine ho pianto come di rado mi capita e molti dei presenti all'uscita avevano gli occhi pieni di lacrime. Perché? Scola pensava da molti mesi a realizzare un film che avesse Fellini come protagonista. Aveva smesso di lavorare, salvo qualche documentario, da una decina d'anni, ma quell'idea ce l'aveva in testa. Era stato intimo di Fellini nonostante una notevole differenza d'età, ma si erano capiti fin dai primi incontri e poi avevano tutte e due scoperto il cinematografo imboccando due percorsi paralleli. Diversi ma animati dallo stesso bisogno, anzi desiderio di conoscenza del mondo circostante e insieme di se stessi.
Alla fine Ettore ha vinto le sue esitazioni e ha girato il film del quale i protagonisti sono due: lui e Fellini, da giovani interpretati da due bravissimi attori e da anziani loro stessi in carne ed ossa.
Per quanto riguarda il film non vado oltre questi cenni. Dico soltanto che era difficilissimo muovere la macchina da presa in quel groviglio del quale la biografia e l'autobiografia costituiscono l'ossatura che sorregge il racconto d'una generazione e di un paese. Per questo dico che non è semplicemente un film ma un'opera, di cui Scola non è soltanto il regista ma l'artista che l'ha creata.
Ma io, noi, perché piangevamo? La risposta è semplice: perché in quel paese, in quella storia, in quell'opera, noi c'eravamo in tutti i passaggi, in tutte le contraddizioni, in tutte le delusioni, in tutte le speranze. Dal fascismo all'antifascismo, dalla satira del Marc'Aurelio e del Bertoldo ai versi di Ungaretti e di Montale, dal maschilismo della cultura contadina al femminismo sessantottino, dallo snobismo di Longanesi ai romanzi di Calvino, dalle puttane di fuori porta all'amore romantico.
Io mi ricordo ancora Federico sul set di Cinecittà che era la sua casa, quando recitava parti difficili del copione e si gettava a terra per far vedere agli attori come si dovevano muovere e gestire e parlare. Ma anche ricordo i discorsi con Scola, con Rosi, con Tornatore, con Sorrentino, i vecchi della mia età e i giovani dell'età dei figli e dei nipoti.
E un paese, questo paese. Un paese al quale siamo legati a doppia corda ma nel quale molto spesso ci sentiamo stranieri. Stranieri in patria. La famiglia di Scola, i Vitelloni e Otto e mezzo di Fellini. E i giornali e i libri che abbiamo letto e quelli che abbiamo fatto.
Un paese e una generazione, anzi tre generazioni perché siamo stati giovani e poi adulti e poi anziani e infine (chi c'è arrivato) vecchi. Probità e corruzione, libertà e dittature, Roma rivendica l'Impero e Pippo non lo sa per finire col boogie e col rock, dal liscio alle discoteche.
E così abbiamo pianto. Anche Ettore, quando ci siamo abbracciati, era commosso. Abbiamo pianto ma eravamo contenti perché la nostra è stata una vita piena e ci è piaciuto d'averla vissuta.
Eugenio Scalfari, La Repubblica, 6/9/2013

Critica (2):Questo è solo un bigliettino privato che puoi metterti in tasca e dargli un'occhiata quando avrai tempo, finita la confusione di queste giornate. Non ti ho ancora ringraziato del risotto (squisito) che mi hai offerto in ospedale a Rimini. Come stanno i tuoi nanetti? La caposala li ha fatti sgomberare da sotto il letto e dalle pareti? Ti sto scrivendo con il pennino 0,35: hai ragione, lo 0,5 ha il tratto troppo spesso e sbava un po'. Ho comprato il libro che mi hai consigliato ed è vero, cominciano ad esserci più buoni romanzi che buoni film: potrebbe essere un buon segno anche per il cinema. Presto farò cambiare la cappa aspira-odori che fa troppa corrente e ti costrinse a cenare con il cappotto e la sciarpa. Per ora, non altro. Quanto al tuo funerale, non sarà una festa, con donnine straripanti, capriole di clown e la banda col mazziere: ma la tristezza perché te ne sei andato sarà niente in confronto alla gioia perché ci sei stato. Infatti, di quale altro nostro contemporaneo potremmo mai sentirci orgogliosi, in quest'Italia sgangherata e cagnarona nella rappresentazione della quale però tu hai sempre insinuato la possibilità di una speranza, non fosse che con l'immagine di un bambino con una tromba? Unico rammarico è che forse non hai fatto in tempo a dire un'ultima cosa, come quando il tuo treno parte e, dietro il finestrino chiuso ermeticamente per la benedetta aria condizionata, non riesci a comunicare quello che ti è venuto in mente all'ultimo momento, a chi ti saluta sotto la pensilina. Ma io sono sicuro che l'ultimo film tu lo hai fatto, solo per te, in silenzio, in queste ultime due settimane. Dorme, dicevano tutti. E invece sognavi. Le linee del cervello sono piatte, dicevano. E invece erano quelle del pentagramma sulle quali disegnavi la tua musica, i tuoi pupazzetti, i tuoi colori: in fretta senza smettere un minuto, per finire in tempo il tuo ultimo film. Ma questa volta il committente ti amava e il tempo che ti ha concesso ti è bastato. Evviva, Federico! Torna in mente il verso di un poeta come te: «Che strano chiamarsi Federico!».
Ettore Scola, L’Unità, 1/11/1993

Critica (3):

Critica (4):
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