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Rose del deserto (Le)


Regia:Monicelli Mario

Cast e credits:
Soggetto: dal romanzo "Il deserto della Libia" di Mario Tobino; sceneggiatura: Mario Monicelli, Alessandro Bencivenni, Domenico Saverni; fotografia: Saverio Guarna; scenografia: Lorenzo Baraldi; costumi: Daniela Ciancio; interpreti: Michele Placido, Alessandro Haber, Giorgio Pasotti; produzione: Mauro Berardi per Luna Rossa Cinematografica; distribuzione: Mikado; origine: Italia, 2006; durata: 102'.

Trama:Una sezione sanitaria dell'esercito italiano si accampa nell'estate del 1940 a Sorman, una sperduta oasi nel deserto della Libia. La guerra lì appare assai lontana e il maggiore comandante passa il tempo a scrivere appassionate lettere d'amore alla sua giovane moglie. Nel campo c'è un'aria rilassata finché un frate italiano che vive sul posto non coinvolge i militari nel soccorso della popolazione locale che ha molto bisogno di cure mediche. Si sparge ben presto la voce della loro capacità e disponibilità per cui la spedizione militare sembra trasformarsi in una missione umanitaria. La situazione della guerra nell'Africa settentrionale però a un certo punto cambia bruscamente. La corsa vittoriosa verso l'Egitto delle truppe comandate dal generale Graziani viene arrestata dagli inglesi e si trasforma in una fuga precipitosa. Il campo di Sorman viene invaso prima dai soldati in fuga poi dai feriti. Quando le sorti degli italiani stanno per precipitare arrivano in soccorso i tedeschi, ma poi tutto precipita di nuovo...

Critica (1):Quando Mario Monicelli dice che non sono troppo cambiati i tempi della seconda guerra rispetto a oggi, gli si deve credere soprattutto ricordando gli scarsi schieramenti di forze militari (a dispetto della propaganda fascista) e la scarsità di mezzi con cui è stato mandato nel deserto il maestro in confronto alle fanfare con cui le forze politiche si fanno belle con il cinema. Eppure la classe di ferro dimostra di non fare azioni di ripiegamento ed ecco che infine Le rose del deserto uscirà nelle sale il 1 dicembre (prodotto da Mauro Berardi e distribuito da Mikado). "Un film da girare in Africa e non in teatro ma tutto all'aperto, con aeroplani, carri armati, con 500 uomini non si mette in piedi facilmente, dice Monicelli che aggiunge: "se poi anche non fossi riuscito a farlo questo film... ne ho già fatti 64".
Ritorniamo con questo a una parte della nostra storia piuttosto occultata, ma possiamo anche vigilare su quella contemporanea dove in altri deserti si svolgono le guerre (o le operazioni di pace) contemporanee. Monicelli che nella Grande guerra mette in scena soldati cialtroni ma alla fine eroici, qui compie un'operazione di grande "pietas", attento alla condizione dei soldati semplici e feroce con gli alti gradi (a cominciare dall'attacco a Graziani con cui si apre il film), sintesi di molti ricordi di cinema riportati alla contemporaneità.
"Mi ero accorto che quest'ultima guerra (persa come tutte le altre) dice Monicelli, non fosse stata raccontata e che ne valeva la pena. Mi ero commosso ed emozionato con "Il deserto della Libia", il libro di Mario Tobino che è del mio paese (io sono del 1915, lui del 1908), andato in guerra come ufficiale medico. Ero andato anch'io in Libia nel '36, poi ho fatto la guerra in Jugoslavia. Le cose che avevo visto io le ho ritrovate in quel libro". Ma cosa è rimasto del libro nel film? "C'è abbastanza, ad esempio il personaggio di Haber, il maggiore che scrive continuamente alla moglie di cui è innamorato perso, anche se nel libro poi finisce in manicomio militare. Anche da Tobino viene il generale che fa Tatti Sanguineti, fissato con la costruzione dei cimiteri. A me piace la farsa che nessuno sa più fare e Tatti riesce a farla bene. E poi certe considerazioni sul deserto, non romantiche ma squallide. Non ci sono distese di dune rosa nel deserto, ma una sabbiaccia sporca. A parte che ero amico di Tobino e ci vedevamo sempre a Viareggio". Più che un film di guerra, Le rose del deserto è un film di Monicelli "un tono che nasce da sempre, dalla Grande Guerra, dai Soliti ignoti, da Amici miei, commedia ironica con tratti amari e anche tragici, Insomma, la commedia all'italiana. Quello che mi piace di più è il frate, interpretato da Placido, sollecito verso il prossimo e sbrigativo, con qualche leggero tocco di ammaestramento che appartiene a Placido. È un personaggio che non c'è in Tobino, ma l'ho conosciuto io in Abissinia. Io lo vedo come un laico che si occupa degli altri. Il rapporto con l'al di là è anche dei laici, non c'è mica bisogno di essere religiosi. C'è anche un elemento di avventura che vorrei avere anch'io, senza dare benedizioni. Se credo in Dio? Non ci credo, non ci penso proprio".
Gli italiani, dice, non sono cambiati rispetto ad allora e se sono cambiati, sono cambiati in peggio. "Sono sempre gli stessi, generosi, non si perdono d'animo. Io sapevo com'era la guerra, sono nato nel '15 e ascoltavo i racconti dei reduci. Erano gli stessi di quando poi ci sono andato io, con la stessa positività nei confronti della vita. Gli italiani non si lamentano, cercano sempre un pretesto per essere allegri. E se devono morire muoiono senza farla tanto lunga. Se poi li lasciano vivere starebbero meglio". Una cosa che è cambiata è la struttura fisica dell'italiano, un vero problema per reclutare i suoi soldatini: "Quelli che ricordo io erano bassotti, con culi bassi, invece ai provini si sono presentati giovani belli, alti più di un metro e ottanta, palestrati e non rappresentavano certo l'esercito che ho conosciuto io".
Ma la vera novità per il nostro paese, dice, è quella dell'economia, una maledizione per tutti: ci vogliono insegnare che piuttosto che stare tra gli amici e le persone che si amano è meglio far crescere il benessere: "gli italiani reagiscono, ma non ce la fanno perché quelli che ci guidano ci fanno comportare da uomini economici e non da uomini". Ma di Monicelli si può dire che sia un pacifista? "Io non sono un pacifista. Nel '39 c'era Hitler che voleva assolutamente fare la guerra, mentre Inghilterra e Francia si tiravano indietro. Io volevo fare la guerra, perché solo la guerra avrebbe potuto liberarci dal fascismo e dal nazismo. Avevo paura di morire, ma ero anche contento perché ci saremmo liberati.. Se parlo della guerra è perché voglio la pace, ma non a tutti i costi. A costo di lasciar fare i massacratori dei poveri e dei deboli? Chi ragiona così è pericoloso".
Silvana Silvestri, Il Manifesto

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Mario Monicelli
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