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Marius e Jeannette - Marius et Jannette


Regia:Guédiguian Robert

Cast e credits:
Sceneggiatura
: Robert Guédiguian, Jean-Louis Milesi; fotografia: Bernard Cavalié; montaggio: Bernard Sasia; interpreti: Gerard Meylan (Marius), Ariane Ascaride (Jeannette), Pascale Roberts (Caroline), Jacques Boudet (Justin), Frederique Bonnal (Monique); produzione: Gilles Sandoz; distribuzione: Bim; origine: Francia, 1997; durata: 104’.

Trama:A l'Estaque – quartiere popolare di Marsiglia – vive solo Marius, guardiano in un immenso cementificio in disuso che domina la zona e che presto verrà demolito. Anche Jeanette vive all'Estaque, fa la cassiera in un supermercato e con il suo scarso stipendio cerca di far crescere i due figli adolescenti (il più piccolo di pelle mulatta) e di mandare avanti il minuscolo appartamento in cui tutti vivono e che si affaccia su un piccolo cortile insieme a tanti altri. I due si incontrano casualmente e cominciano a frequentarsi.
Tra i due comincia un rapporto d'affetto e d'amore, che però sembra destinato a non durare...

Critica (1):Negli ultimi tempi il cinema francese riscopre la provincia, riesplora un paesaggio umano e sociale lontano dalla “pariginità” di registi come Carax e Beinex o Besson, e se appunto negli anni Ottanta i giovani registi reinventavano in senso postmoderno il landscape urbano, prediligendo storie e spazi visionari, climi noir e maledetti, ci sembra che negli anni Novanta ci sia un ritorno alla tradizione tutta francese del realismo poetico, quello ad esempio di Carné o Renoir. L’altra tendenza, quella urbana, si è risolta o in film che esplorano l’universo della banlieu interrazziale (come L’odio di Kassowitz) oppure nel fantascientifico-tecnologico del Luc Besson di Il quinto elemento. Robert Guédiguian è un po’ l’iniziatore di questa tendenza che riprende le ballate di provincia, il racconto della classe operaia che fu già del cinema del Fronte popolare, o la ruralità “provenzale” della tradizione di Marcel Pagnol e di Jean Giono. Marius e Jeannette (premiato a Cannes 1997 dove è stato presentato nella sezione Un certain regard) è il settimo film di questo regista-produttore fedele sia ai modi liberi della produzione indipendente e a basso costo sia a una poetica “proletaria” che unisce brechtismo e favola popolare, descrizione minuta e divertita dei personaggi e “solarità” del paesaggio prediletto, una Marsiglia operaia e anarchica. Quasi un cinema “di quartiere” che predilige, sotto uno sguardo ironico e affettuoso, le piccole cose della vita di tutti i giorni unite a una specie di eroismo dei sentimenti, di accensione romantica e ottimistica della lotta per la vita. E’ nel quartiere di Estaque, nel suo melange portuale e neoindustriale, nei suoi cortili su cui, come sulla scena teatrale di un intermezzo Cervantino o di una commedia popolare, si affacciano i personaggi, i “casigliani” ritratti nelle loro debolezze, nelle loro illusioni, incoerenze o idealismi con il tocco preciso e affettuoso, e la perizia nella direzione degli attori, che apparteneva a Renoir. Dietro la descrizione d’ambiente però il pericolo del bozzettismo viene scongiurato dalla scelta molto francese di piombare con la macchina da presa nel bel mezzo di un amour fou tra due personaggi indimenticabili, accomunati dalla scontrosità e insieme dalla voglia di un rassegnarsi al viale del tramonto. Marius, un proletario alto e massiccio come un armadio, col volto terrigno e fiero e l’indole zingara di un attore perfetto come Gerard Meylan (visto già in Nenette e Bonì, l’ultimo film di Claire Denis) e Jeannette, quella straordinaria attrice prediletta da Guédiguian che è Ariane Ascaride con il suo volto irregolare e picassiano, una donna sola e delusa dalla vita, madre coraggiosa di due ragazzini, diffidente e insieme testarda, ma anche capace di slanci e di leggerezza, si incontrano e si innamorano con la naturalezza e l’assolutezza di chi non ha paura di darsi, con la vitalità insperata di chi riscopre la gioia del ritorno di un vento purificatore e amoroso come il Mistral che batte la costa provenzale. Non sono belli, nemmeno tanto simpatici, un po’ rudi e caparbi, Marius e Jeannette, eppure Guédiguian è capace di farceli amare senza mezzi termini, di farci aderire ai soprassalti affettivi, alle chiusure e aperture dei loro caratteri. Così come di farci affezionare al “coro” di personaggi un po’ da commedia e un po’ da favola che li circonda, altrettante coppie ferite dalla vita ma ancora capaci di ricominciare da capo, che il regista allinea alla coppia centrale, quasi come specchi drammaturgici che moltiplicano le emozioni della storia. La scrittura cinematografica insieme secca e musicale, con andamento di ballata popolare, gli umori succosi e acri, i colori polverosi e insieme netti dei paesaggi (dal cementificio in disuso, alle casette che danno sul cortile, alle aperture marine...) contribuiscono all’intenzione dichiarata di questo regista che ama l’ottimismo di Capra e il parlare diretto di Ken Loach: reincantare il mondo. Una volta tanto, cosa non facile ad esempio nel nostro cinema italiano, la perfezione della sceneggiatura e dei dialoghi pieni di varità si unisce a uno stile tutto filmico, immediato, quasi da film-verità.
Bruno Roberti, Vivi il cinema n. 64 gennaio-febbraio 1998

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Roberto Guédiguian
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