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Uomo in più (L')


Regia:Sorrentino Paolo

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Paolo Sorrentino; fotografia: Pasquale Mari; montaggio: Giogiò Franchini; scenografia: Lino Fiorito; costumi: Silvia Nebiolo; musica: Pasquale Catalano; suono: Daghi Rondanini, Gianluca Costamagna; interpreti: Toni Servillo (Tony Pisapia), Andrea Renzi (Antonio Pisapia), Nello Mascia (il Molosso), Antonino "Ninni" Bruschetta (Genny), Angela Goodwin (Franca, la madre di Tony), Enrica Rosso (Elena), Clotilde Sabatino (Vanna), Roberto De Francesco (Gigi Moscati), Italo Celoro (l'allenatore), Beniamino Femiano (il presidente), Marzio Onorato (Tagliaferri), Peppe Lanzetta (Salvatore), Stefania Barca (Monica), Rosaria De Cicco (Maria), Monica Nappo (Veronica), Maurizio Cocurullo (Filippo Reale), Toni Laudadio, Andrea Marrocco, Federico Torre; produzione: Nicola Giuliano, Kermit Smith, Francesca Cima, Angelo Curti per Indigo Film/Keyfilms; distribuzione: Keyfilms; origine: Italia, 2001; durata: 100'.

Trama:1980 Napoli Antonio Pisapia è capitano di una squadra di serie A, ha appena segnato il goal della sua vita. I suoi compagni gli chiedono di truccare le partite, ma lui rifiuta, desidera diventare allenatore. Nel frattempo, Tony Pisapia ha appena terminato il suo più bel concerto e decide di festeggiarlo a modo suo in un locale, abbandonandosi al sesso e alla droga. Il calciatore, durante gli allenamenti, è costretto al ritiro da un incidente che lo ferisce gravemente; Tony è accusato di violenza ad una minore, ed è denunciato dalla madre e dalla moglie. 1984. Antonio ha terminato il corso per tecnici e ha sviluppato un rivoluzionario schema di attacco, dell"'uomo in più". Attende che la sua ex squadra lo chiami; la moglie intanto lo lascia. Assolto al processo, Tony non è più chiamato a esibirsi in concerti, se non per piccoli ingaggi in provincia. Si consola cucinando pesce (una specialità appresa negli anni in cui è stato in carcere per detenzione di stupefacenti). Decide di rinunciare a cantare per non umiliarsi ulteriormente. Intanto, nessuna notizia dalla squadra che dovrebbe assumere Antonio. Hanno però richiamato l'ex allenatore, il suo unico amico con cui si confronta quotidianamente.
Casualmente Tony e Antonio si incontrano al mercato...

Critica (1):Per esordire nel lungometraggio, Paolo Sorrentino sceglie il tema del doppio e ne propone un'interessante lettura, un raffronto tra due omonimi, un calciatore e un cantante, e i loro diversi stili di vita. Un tema non nuovo, che il regista riesce ad affrontare con buona consapevolezza, adottando un registro linguistico che privilegia la fluidità del racconto ai virtuosismi stilistici, senza però rinunciare alle suggestioni evocative che certe immagini possono suscitare.
Cronaca di due vite, quella di Antonio Pisapia, calciatore di una squadra di serie A, e quella di Tony Pisapia, cantante affermato, il film, come un assioma, segue la vertiginosa discesa che dall'apice della carriera conduce entrambi all'inesorabile caduta libera, all'ombra dei riflettori, e li rende sgraditi, poco visibili, icone di un recente passato. Con stile equidistante, non commosso ma partecipe, il regista li ritrae in maniera non comune e mai banale.
Sfortunato, riservato e corretto il primo, arrogante, volgare, e prepotente il secondo: tutti e due si muovono sullo sfondo di una Napoli taciturna e poco solidale, cui sono tolti colore e riconoscibilità. Testimone muto e impassibile, lo spazio urbano osserva noncurante il succedersi degli eventi e quel che accade ai protagonisti. Un incidente impedisce di continuare a giocare allo sportivo, al quale non resta che sperare, invano, di diventare allenatore; il cantante è accusato di violenza su di una minore, se vuole rientrare nell'ambiente, deve ripartire da zero. Evitando lo stereotipo, Sorrentino restituisce con minuzia certi ambienti e contesti sociali, dove il facile arricchimento, la volgarità, l'eccesso e la sregolatezza sembrano avere la meglio su tutto; esemplari i locali notturni, le case vistosamente lussuose appena acquistate, gli arredi interni di cattivo gusto. Il film comincia all'inizio degli anni Ottanta e di quel decennio costituisce un interessante documento, fino a prefigurare certi aspetti caratterizzanti la società odierna, indifferente alle tragedie altrui, dove il consumismo pare aver fatto tabula rasa di qualsiasi altro valore. Un luogo in cui quasi non sembra esserci più spazio neanche per il gesto estremo di Antonio. Ancorati al passato, fuori dal tempo, più nessuno presta attenzione a quello che i due protagonisti hanno da dire: tutt'al più i loro racconti possono ancora interessare un programma televisivo, filtrati e commentati da un conduttore. Esemplare la sequenza in cui Tony, davanti alle telecamere, decide di confessarsi, di lasciarsi andare al ricordo, mettendo in grande imbarazzo l'intervistatore. In un mondo in cui "il pareggio non esiste" (come recita la frase di Pelè, riportata ad inizio del film), non c'è più spazio per il fuori gioco: e in questa società dell'immagine, ingannevole e fuorviante, l'essere invisibili equivale al fuori gioco.
L'uomo in più del titolo, oltre a costituire una strategica novità nel sistema di attacco nel gioco del calcio, è anche quell'uomo che né il calciatore né il cantante sono stati in grado di essere, è quella parte mancante che, soltanto apparentemente, Tony sembrava poter avere rispetto ad Antonio. E in effetti, proprio nel finale, il film sembra indicare al cantante, una possibile via di fuga, non distante da quella intrapresa da Totò nei panni del protagonista rosselliniano di Dov'è la libertà?, qui egregiamente interpretato da Toni Servillo.
Luisa Ceretto, in Una distanza estranea - il cinema di Emanuele Crialese, Matteo garrone e Paolo Sorrentino, Ed. di Cineforum

Critica (2):"Penso che il calcio è un gioco mentre tu sei un uomo fondamentalmente triste": è un piccolo assaggio della scrittura di Paolo Sorrentino, giovane autore di copioni (classe 1970) che si è costruito nello spazio di poche stagioni una fama invidiabile nella cerchia del cinema alle pendici del Vesuvio. In Italia se uno è piuttosto bravo a scrivere sceneggiature, deve finire prima o poi dietro la macchina da presa (c'è proprio una legge che lo stabilisce: se gli sceneggiatori non diventano registi, possono essere perseguiti penalmente). E così Sorrentino ha esordito con un film che parla di calcio, di calamari giganti e di bottiglie di Ballantine, un film fatto di assoli di ottimi attori (Tony Servillo, Andrea Renzi, Ninni Bruschetta, Nello Mascia), di hit degli anni settanta e ottanta, di ammicanti scenografie kitsch e che sospinge con abilità e malizia lo spettatore sull'orlo di un mistero per poi non rivelarglielo. Chissà perché. Ma l'inizio di questo film dedicato a Kermith Smith (il distributore e produttore scomparso quest'anno che al film ha creduto fermamente) è un gran pezzo di cinema. A Napoli, negli anni ottanta, una squadra di calcio sciama nello spogliatoio a metà partita. I giocatori siedono muti e intimiditi. Li aspetta una spettacolare cascata di male parole che un allenatore rauco e luciferino (Italo Celoro: davvero grande) riversa su di loro come una gragnuola di mazzate interminabili. Contemporaneamente un cantante melodico e crepuscolare, che vive nell'ombra del modello di Fred Buongusto (ma che in realtà è costruito sul modello di Califano) è all'apice di un opulento successo popolare. Lo stopper e il cantante: entrambi passano dal vertice del successo alla disgrazia di una caduta imprevedibile e ingiusta. Il primo lascia la massima divisione dopo un incidente, il secondo per uno scandalo con una minorenne. Gli anni ottanta, quelli del rampantismo selvaggio, visti da due falliti, gente che è abituata "a mettersi di spalle alla vita". Andrea Renzi, lo stopper, è un timido che ha basettoni e baffi da studente di un campus americano degli anni settanta. Ha in testa un rivoluzionario modulo di gioco, l'"uomo in più" - ma nessuno gli consentirà di metterlo alla prova. Toni Servillo, il cantante, è uno dei migliori attori italiani di oggi, ha il dono della concentrazione ma anche il piacere della allusione leziosa cui ricorre con dosaggio esperto. Il film segue entrambi e l'inesaurbile collisione delle loro vite, e il loro ineluttabile fato, non solo perché le loro sorti sono inesorabilmente affini ma anche perché entrambi condividono lo stesso nome: Antonio Pisapia. La regia si crogiola con una certa sensualità in questo enigma, alimentato da misteriosi e suggestivi flashback di un incidente marino che vede la morte del fratello del cantante (e relativi sensi di colpa del medesimo), ma preferisce ammirarsi nello specchio delle proprie immagini che raggiungere gli spettatori in fondo alla sala. Alla soluzione di questo mistero, sorride come un etrusco. Rimane la sorpresa dell'apparizione di un cinema voluttuoso, arguto e morbido, di attori che staresti a guardare qualsiasi cosa fanno (come Nello Mascia) e anche l'impressione di un talento che, a differenza dei suoi due protagonisti, non punta con disperazione ad andare in rete senza riuscirvi, ma continua fare dei palleggi sotto porta con sorniona indolenza.
Mario Sesti, Kwcinema Antonio Pezzuto, Cinemazip, 31/8/ 2001

Critica (3):Incorniciato da I will survive nella splendida versione dei Cake, Paolo Sorrentino esordisce alla regia con L'uomo in più, presentato nel concorso junior (alias Cinema del Presente) e raccoglie applausi convinti alla proiezione per la stampa. Splendida interpretazione di Tony Servillo e di Andrea Renzi nei panni, rispettivamente, di un cantante ed un calciatore. In comune i due hanno il nome (Antonio Pisapia) e un cinico destino che, contemporaneamente, li porta dagli altari alla polvere. Se non si rischia non si cade, e i due Pisapia rischiano parecchio. Il primo (calciatore affermato di una squadra di calcio in lotta per la conquista di un posto in Uefa) si rifiuta di vendere una partita e finisce, con i legamenti spezzati, a fare l'allenatore senza squadra; il secondo (cantante di enorme successo tipo, per intendersi, tra Franco Califano e Fred Bongusto) usa troppo la cocaina e si porta a letto una ragazzina troppo giovane finendo - rifiutato dal suo pubblico piccolo borghese - a cantare nelle feste paesane in gelidi concerti in piazza. Per il resto tutto differenzia i due Pisapia. Il calciatore ha moralità integra, è timido ed è destinato al fallimento perché per i timidi non c'è spazio in questo mondo. Il cantante, a sua volta, ha voglia invece di essere totalmente libero e senza vincoli, sbruffone ed egocentrico. Due facce della stessa medaglia. Due eroi nazional popolari fatalmente destinati a finire le loro avventure davanti ad un programma televisivo che racconta drammi in diretta. Eroi nazional popolari, quindi, che permettono a Sorrentino di raccontare e descrivere gli anni '80 a Napoli (ma potremmo essere dovunque). Anni che oggi sembrano lontani anni luce, ma che portano in loro i germi necessari per comprendere meglio questo complesso inizio di secolo nuovo. Un film cinefilo (in una scena si riconosce lo stesso "scorsesiano" movimento di macchina che accompagnava Joe Pesci dentro la discoteca in Goodfellas), ritmato e divertente, con forse qualche problema nel finale (che ovviamente non sveliamo) ma che permette di salutare con gioia l'arrivo nel nostro panorama cinematografico di un autore che potrà dare soddisfazione a pubblico e critica.
Antonio Pezzuto, Cinemazip, 31/8/ 2001

Critica (4):
Paolo Sorrentino
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