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Dancer


Regia:Cantor Steven

Cast e credits:
Fotografia: Mark Wolf, David LaChapelle - (immagini aggiuntive); musiche: Ilan Eshkeri;
montaggio: Federico Rosenzvit; interprete: Sergei Polunin; produzione: Gabrielle Tana, David La Chapelle per Magnolia Mae Films, Baby Cow Productions Ltd, in associazione con Stick Figure Studios; distribuzione: Wanted; origine: Gran Bretagna, 2016: durata: 85’.

Trama:Attraverso interviste e filmati d'archivio viene raccontata la straordinaria storia del prodigio della danza divenuto a soli 19 anni il più giovane primo ballerino del Royal Ballet di Londra e considerato uno dei più geniali e controversi danzatori contemporanei: Sergei Polunin. Il documentario traccia il percorso intimo e artistico dell'artista, dalle prime piroette già all'età di otto anni al suo ingresso nella Royal Ballett Academy di Londra. E poi gli scandali, i tatuaggi, le droghe, gli abusi e, all'apice del successo, l'abbandono della prestigiosa accademia inglese per tornare trionfante sulle note trascinanti del video di LaChapelle.

Critica (1):(…) La pellicola (...) segue attraverso interviste e filmati d’archivio la straordinaria storia del prodigio della danza divenuto a soli 19 anni il più giovane primo ballerino del Royal Ballet di Londra e considerato uno dei più geniali e controversi danzatori contemporanei. “Il James Dean, il Bad Boy della danza”, come lo hanno battezzato i media inglesi in riferimento alla sua attrazione per gli eccessi autodistruttivi, emerge come un personaggio romantico e tormentato, che ha saputo rendere popolare il balletto classico grazie a un talento naturale, “aiutato” da un efficacissimo video virale, diretto da David LaChapelle, che lo vede esibirsi in una coreografia mozzafiato sulle note di “Take Me to Church” di Hozier.
Ribelle, iconoclasta, una vera e propria star, Sergei Polunin è uno dei tanti figli della povertà nell’Ucraina degli anni ‘90. Nel suo paese di origine “tutti erano poveri, nessuno aveva soldi. E quando tutti sono poveri, non senti le differenze”. Polunin è cresciuto in una famiglia che ha fatto grandi sacrifici per permettere a lui, giovanissimo e formidabile ballerino, di proseguire la sua formazione, con la speranza di un futuro migliore. Cantor svela questa parte della vita di Polunin attraverso gli innumerevoli home-video girati dalla madre, risorsa rarissima nell’epoca predigitale. L’accesso a questi materiali permette di tracciare il percorso intimo e artistico dell’artista, dalle prime piroette già all’età di otto anni al suo ingresso nella Royal Ballett Academy di Londra. E poi gli scandali, i tatuaggi, le droghe, gli abusi e, all’apice del successo, l’abbandono della prestigiosa accademia inglese per tornare trionfante sulle note trascinanti del video di LaChapelle.
Valerio Sammarco, cinematografo.it, 9/10/2017.

Critica (2):Il film si apre così, mostrando al centro dello schermo un uomo seduto a terra, la testa bassa, lo sguardo perso, il corpo abbandonato, che oscilla lentamente tra polveri bianche e luci trasparenti che lo attraversano. Sembrerebbe un corpo di statua, ma distruttibile, perfettamente lavorato ma anche così visibilmente marchiato da segni e graffi profondi, con i quali racconta, forse, la sua storia di travagli e disorientamento. Quest’uomo è Sergei Polunin, ucraino, classe 1989, oggi star indiscussa del balletto mondiale, considerato dai più tra i migliori danzatori classici della sua generazione. Ballerino prodigio di enorme talento naturale, così controverso da essere nella stessa persona un po’ enfant terrible, un po’ principe romantico e tormentato, Poluninha bruciato precipitosamente tutte le tappe della sua vita e carriera,per trovarsi infine – letteralmente – a terra, in un baratro di solitudine e angoscia, forse l’unico posto concesso al vero genio quando scopre la sua dote innata e sa generare con essa un caos fecondo di amore, dolore, potenza.
Il film biografico diretto dal regista statunitense Steven Cantor, Dancer, non vuole presentarsi (solo) come un classico documentario-elogio di un grande artista contemporaneo colto al culmine del successo, riattraversando in modo cronologicamente ordinato e tradizionale le tappe della sua considerevole evoluzione. Dancer è prima di tutto un film che incontra il corpo del suo protagonista nella sua materialità, il suo sguardo intenso e fiero, il suo movimento nevrotico, i fra-momenti di sacrificio e sofferenza nei quali inizia lentamente a decidersi il destino di quello che sarà un grande danzatore, che nasce però uomo comune, in preda come tutti alle ansie del quotidiano e alle incertezze del futuro, preoccupato del successo e della gloria, ma anche inesorabilmente schiacciato dal peso di un mondo che non sa affrontare.
Polunin, raccontato da Cantor, diventa allora modello di perfezione e decadenza, di morte – dell’artista dentro di lui – e (ri)creazione di vita, eroe contemporaneo di incredibile umanità che svela impietosamente il volto cupo del successo e il prezzo che c’è da pagare alla fine di un’instancabile e prodigiosa scalata.
Il documentario si apre con un prologo-flash su un Sergei già adulto e acclamato, segnato dal tempo e dal dolore del corpo; il volto appare giovane e impietrito, spiccano gli innumerevoli tatuaggi che spuntano dai costumi di scena; il camerino zeppo di farmaci e antidolorifici, le sue “droghe ricreative”. Ma questo è soltanto l’inizio – o la fine? – di un percorso che andrà a ritroso, con l’intenzione di scavare in ragioni più recondite, lontano dallo stereotipo convenzionale che fa di Polunin un altro James Dean redivivo, una sorta di popstar incontrollata ed esibizionista, così discussa dalla stampa internazionale. Non è questo il caso, non è questo, forse, il vero Sergei.
Cantor, allora, torna indietro alla sua prima infanzia, a raccontare e mostrare – per il tramite di rari filmati familiari, girati in epoca predigitale dalla madre-mentore Galina – la vera storia del ballerino, l’incredibile lavoro che si nasconde dietro la costruzione di un corpo perfetto, quando il movimento diventa un affare di controllo e contrappesi, e la vita stessa si fa opera d’arte drammaticamente instabile e fugace.
Il film raccoglie le immagini dei primi passi di danza di Sergei nella cittadina natale di Kherson; poi lo smembramento familiare per proseguire con gli studi a Kiev; infine, la borsa di studi per arrivare alla prestigiosa scuola del Royal Ballet di Londra, dove a soli diciannove anni diverrà primo ballerino della compagnia. Tutti piccoli pezzi di montaggio messi a formare l’immensa coreografia della sua esistenza, alternati a scene di vita privata, giochi con i compagni di corso, interviste di familiari e amici danzatori che lo hanno conosciuto per davvero e accompagnato anche nel momento della sua crisi artistica.
Ma ciò che emerge tra un’immagine e l’altra di salti e piroette a perdifiato – il video diretto da David LaChapelle su note di Hozier resta impresso letteralmente nel cuore – , è la potenza stessa del corpo del ballerino, la sua camaleontica personalità in scena, la voglia di vivere di quest’arte che pure può togliere tutto in qualsiasi momento – il caso della famiglia irrimediabilmente scissa, che costituisce una delle fratture più evidenti per Sergei. Si parla di danza, dunque, ma se ne parla come si farebbe della vita stessa, come una predestinazione infelice, ma della quale andar fieri; come dell’arte tutta, che può entrare nella mente e nelle viscere piegando il mondo ai suoi dettami: «La danza è come si muove il mio corpo, la danza è come mi sento».
Sergei Polunin racconta una storia di incredibile tenacia seppure nella fragilità del suo essere, dove ogni ostacolo si trasforma nell’occasione della rinascita, ma ad ogni ricominciare appare anche lo spettro della solitudine e dell’oblio.
Martina Puliatti, sentieriselvaggi.it, 14/10/2017

Critica (3):

Critica (4):
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