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Illusionista (L') - Illusionist (The)


Regia:Chomet Sylvain

Cast e credits:
Sceneggiatura: Sylvain Chomet, da una sceneggiatura di Jacques Tati; musiche: Sylvain Chomet; montaggio: Sylvain Chomet; produzione: Bob Last, Sally Chomet per Django Films-Cineb-Pathé Pictures International; distribuzione: Sacher Distribuzione; origine: Francia.Gran Bretagna, 2010; durata: 80’.

Trama:Nella Francia del 1959, un vecchio Illusionista la cui fama è stata oscurata da quella dei cantanti rock, si esibisce in piccoli teatri, in feste private e nei bar dei paesi. È proprio durante uno dei suoi spettacoli in un fumoso pub di una cittadina della costa scozzese che l'illusionista incontra la piccola Alice, destinata a cambiargli la vita. La bambina lo elegge a suo eroe personale, si convince del fatto che i suoi trucchi siano reali e decide di seguirlo a Edimburgo. L'illusionista, lusingato dall'entusiasmo di Alice, la accoglie in casa sua e decide di non rivelarle la verità sui suoi trucchi e così comincia a coprirla di costosi regali perché abbia tutto ciò che desidera. Come tutte le altre bambine, però, Alice è destinata a crescere...

Critica (1):Premessa: Sylvain Chomet è un genio. È un grande disegnatore, con un tratto amabilmente «rétro» che deve qualcosa anche a fonti extra-grafiche come il cinema di Jacques Tati. Ed è anche un grande narratore, con un respiro narrativo degno dei classici dell'animazione. Il pubblico italiano lo conosce per Les triplettes de Belleville, gioiello del 2003. L'illusionista, uscito in Francia nello scorso mese di giugno, è dello stesso livello e racconta una storia da cinema «vero». Siamo alla fine degli anni '50 e il mondo del music-hall, con tutta la sua tradizione di musica da ballo e numeri circensi, è sconvolto dall'arrivo del rock'n'roll. L'illusionista del titolo capisce di essere fuori moda e tenta la fortuna nel posto sbagliato, Londra. Con i suoi affezionati complici – il coniglio, il cilindro, le colombe ammaestrate – finisce a esibirsi nei teatrini di provincia, finché l'incontro con la giovane Alice non cambia la sua vita... Distribuisce la Sacher di Nanni Moretti, una garanzia. Vederlo è un'immersione in un cinema poetico che, come l'arte dell'illusionista, si credeva scomparso.
Alberto Crespi, L’Unità, 29/10/2010

Critica (2):Ha quel certo fascino la vecchia Parigi dipinta nei film d'animazione, da quella classica d'inizio '900 degli Aristogatti al più recente affresco da guida gastronomica di Ratatouille. Quando poi ci mette mano un'artista sensibile francese come Sylvain Chomet si possono toccare corde più delicate per cogliere note poetiche inusitate. Le vedute della ville lumière risalgono al 1959: Montmartre, Pigalle, l'Olympiain caldo bianco e nero disegnati a mano. Gradualmente i colori trasformano le luci della città e si staglia una figura inconfondibile del cinema d'oltralpe. L'impacciato, longilineo signore in completo stretto, sembra proprio Monsieur Hulot.
Surrealmente spiazzato nella società moderna, la silenziosa maschera anni '50-60 cli Jacques Tati (scomparso nel 1982) è riproposta qui in versione disegnata seguendo la sua sceneggiatura originale, riadattata e realizzata dal regista animatore Sylvain Chomet. Quale attore avrebbe potuto rivestire i panni del protagonista lunare di Play time? Infatti l'medita e atipica storia melanconica viene animata da Chomet con rispettoso amore, che cambia decisamente registro rispetto al ritmato umorismo del suo Appuntamento a Belleville.
L'illusionista è infatti più uno stato d'animo poetico di 90' senza obbligo di lieto fine. E una tranche de vie collettiva con una spiccata attenzione e conoscenza per il mondo artistico umano che fu, osservato e rivissuto in un passaggio d'epoca clou. Un prestigiatore è sul viale del tramonto mentre avanzano juke box, gruppi rock, grandi magazzini e automobili. Le fragili illusioni del vecchio varietà di acrobati, ventriloqui e maghi cedono di fronte ai gusti di una gioventù ribelle. Così il protagonista gioca le sue ultime chances oltremanica. Da Parigi a Londra, con trucchi, colombe e un coniglio aggressivo, cerca invano di arginare una crisi irreversibile. Si spinge così fino alla piovosa ma ancora accogliente provincia scozzese, dove in un pub di paese incontra la giovane umile cameriera Alice. Qui con i suoi dolci inganni, l'illusionista riesce ancora a diffondere entusiasmo e speranza. La ragazza, pulita e ingenua, lo segue come una figlia fino ad Edinburgo. Ma un colpo di bacchetta non basta più e dopo i primi pasti assicurati, le scarpe nuove, un bel vestito, deve infine accettare la nuova dura realtà. Come scrive nel biglietto, «i maghi non esistono». Ma la magia sì, magari nell'amore vero con un ragazzo o nel far tornare il sorriso ad una bambina con la semplice riapparizione di una matita.
In ogni mago si cela un uomo e la magia di Chomet si esprime nei dettagli curati, nei fondali disegnati con linee chiare e colori caldi, nelle espressioni incisive dei personaggi tutti, anche quelli di secondo piano. Soprattutto in quella presenza popolare, con caratteristi inventati o riproposti da altri suoi film e una colonna sonora non industriale suonata con strumenti regionali. Morale della fiaba? Forse non c'è, come nemmeno un vero happy end. È una lettera d'amore, «non da intellettualizzare» – raccomanda Chomet «semmai è un modo di spiegare la vita in rapporto alle illusioni, ma non è in contrasto con la magia. Basta non essere vittime di moda e pubblicità».
Thomas Martinelli, Il Manifesto, 29/10/2010

Critica (3):

Critica (4):
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