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Paura (La)


Regia:Rossellini Roberto

Cast e credits:
Soggetto
: dal racconto "Angst" di Stefan Zweig; sceneggiatura: Sergio Amidei, Franz Graf Treuberg; fotografia: Carlo Carlini, Heinz Schnackertz montaggio: Jolanda Benvenuti, Walter Boos; musica: Renzo Rossellini; interpreti: Ingrid Bergman (Irene Wagner), Mathias Wiedman (professor Alberto Wagner), Renate Manhardt (Johanna Schultze), Kurt Kreuger (Enrico Stoltz), Elise Aulinger (la governante), Elisabeth Wischert (Mady), Gabriele Seitz (Bubi), Steffie Struck, Luisa Vidor, Jurgen Micksch, Rolf Deininger, Albert Herz, Klara Kraft, Edith Schultze-Westrum; produzione: Aniene Film, Ariston Film; distribuzione:Cineteca Nazionale; origine: Germania-Italia, 1954; durata: 84’.

Trama:Irene, moglie di Alberto Wagner professore in chimica farmaceutica, ha un amante, Enrico. Dopo aver subito il ricatto di Giovanna, che conosce il suo segreto, Irene viene anche a sapere che il marito ha scoperto da tempo il suo tradimento ed è in combutta proprio con Giovanna per metterla in difficoltà...

Critica (1):(…) Il tema del film è ancora una volta l'incomunicabilità e l'incomprensione tra due esseri umani (una giovane donna e il marito, un professore tedesco), così come era apparso già nella «trilogia della solitudine»: Stromboli, Europa 51, Viaggio in Italia. Ma stavolta, sulla traccia di un racconto psicologico di Stefan Zweig in parte rimaneggiato, il meccanismo della storia, negli altri film essenzialmente lineare, è complicato da un risvolto drammatico derivante dal fatto che la donna ha un amante, il marito lo sa e la fa spiare, e lei, accortasene, tenta il suicidio. Ora, proprio il meccanismo complesso (che normalmente impaccia il Rossellini regista tutto intento a seguire personaggi liberi da costrizioni psicologiche e da risvolti drammatici predeterminiati) permette quell'«avvolgimento» del personaggio che era nelle intenzioni dell'autore e gli fornisce la dimensione tragica che la storia in sé, nella sua sostanziale banalità, non offriva. Perché da un lato il pedinamento cui è soggetta la protagonista (il marito la fa spiare da una donna), dall'altro il suo tentativo di liberarsi da una «paura» che la opprime, consentono un'analisi comportamentistica ricca di molteplici spunti per una più generale analisi morale e sociale. Pare quasi che Rossellini, come il professore‑marito del film, si diverta a immergere la protagonista in una situazione drammatica e ambigua per registrarne le reazioni psicologiche e di comportamento. Ma l'esperimento non è fine a se stesso, serve a darci un quadro più vasto di una situazione umana e sociale, in cui il caso singolo ha valore emblematico. Rossellini usa nella Paura una tecnica complessa: impiega largamente i piani-sequenza, i movimenti della cinecamera, il montaggio alternato non soltanto per attrarre l'attenzione dello spettatore sul personaggio principale e sulle sue reazioni alle ambiguità della situazione in cui si viene a trovare, ma anche per sottolineare la costante tematica dell'opera, che si identifica col titolo del film. La paura, come stato costante di tensione emotiva e intellettuale in una situazione data, è colta nel suo manifestarsi nei fatti, nei luoghi, nelle persone, nei dialoghi ecc. La sua presenza incombente percorre tutto il film e si manifesta proprio nelle soluzioni espressive imperniate su una tecnica più complessa. Al di là degli evidenti scompensi drammatici e narrativi e delle incongruenze psicologiche (sono, come sappiamo, i limiti costituzionali dell'opera rosselliniana), c'è una tensione esistenziale che, pur nello schema rigido del racconto, accoglie una molteplicità di suggestioni e di interpretazioni capaci di superare quelli che sono i dati oggettivi dell'esperienza. È stato detto che la Paura, come quasi tutti i film interpretati dalla Bergman, non sia altro che un riflesso critico e persin cattivo dei rapporti coniugali tra il regista e l'attrice, che cioè Rossellini abbia voluto, tratteggiando figure di donne in crisi, incapaci di inserirsi in una realtà normale e quotidiana, rivelare una situazione personale, intima, mostrandone le contraddizioni e il fallimento. Non è chi non scorga in questo e in altri film rosselliniani elementi autobiografici; anzi la sua opera, come quella di molti altri artisti, è in buona parte autobiografica. Ma è altrettanto evidente che gli elementi autobiografici, quando ci sono, hanno un interesse generale nella misura in cui superano i fatti di cronaca per porsi come modelli di comportamento, come elementi di un discorso globale. E nella Paura, la crisi coniugale dei protagonisti e il risvolto tragico della sfiducia, del pedinamento, del tentato suicidio, acquistano una dimensione drammatica che supera gli eventuali addentellati con la crisi che in quegli anni attraversavano sia Rossellini sia la Bergman. Semmai il film va visto come la rappresentazione di uno stato di disagio, di sconforto, di crisi appunto, che coinvolgeva Rossellini come uomo e come artista, in un periodo in cui certi valori parevano essersi dissolti nell'indifferenza generale e nel conformismo ideologico e politico. Non, quindi una fuga dalla realtà, o un rifugiarsi nel chiuso dei propri problemi intimi e personali, ma la constatazione di una generale involuzione dovuta prevalentemente all'incomprensione, alla diffidenza, alla paura tra gli uomini, in altre parole alla mancanza di coraggio: che è, come sappiamo, uno dei temi fondamentali della poetica rosselliniana. (…)
Roberto Rossellini, Il Castoro cinema, La Nuova Italia, 4/1974

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Roberto Rossellini
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