RETE CIVICA DEL COMUNE DI REGGIO EMILIA
; Archivio film Rosebud; ; Archivio film Rosebud
Torna alla Home
Mappa del sito Cerca in Navig@RE 

 > Aree tematiche > Cultura e spettacolo > Archivio film Rosebud > Elenco per titolo > 

Cleo dalle 5 alle 7 - Cléo de 5 à 7


Regia:Varda Agnès

Cast e credits:
Regia, sceneggiatura e dialoghi: Agnès Varda; fotografia: Jean Rabier; montaggio: Janine Verneau; musica: Michel Legrand; canzoni: Michel Legrand, Agnès Varda; suono: Jean Labussière, Julien Coutelier; scenografia: Bernard Evein; costumi: Alyette Samazeuilh; interpreti: Corinne Marchand (Cléo), Antoine Bourseiller (Antoine), Dominique Davray (Angèle), José-Luis de Villalonga (l'amante di Cléo), Michel Legrand (Bob), Serge Korber (Plumitif), Lucienne Marchand (la taxista), Dorothée Blank (Dorothée), Jean Champion (il barista), Jean-Pierre Taste (l'inserviente), Loye Payen (la cartomante), Robert Postec (il dottore); con la partecipazione (nello sketch comico) di Jean-Luc Godard, Anna Karina, Sami Frey, Eddie Constantine, Danièle Delorme, Alan Scott, Jean-Claude Brialy, Yves Robert; produzione: Rome-Paris-Films (Georges de Beauregard e Carlo Ponti); distribuzione: Cineteca di Bologna; origine: Francia-Italia, 1962; durata: 90'.

Trama:Una giovane cantante aspetta un referto medico, sicura di essere molto malata. D'un tratto, nella sua vita di ragazza egoista e viziata, s'insinua una nuova emozione che le apre gli occhi: la paura della morte. Il film è un ritratto di Clèo colta nell'ansia dell'attesa. Clèo cammina per le strade del suo quartiere, Montparnasse, e si fà notare. Ma quel giorno nota anche lei parecchie cose, alle quali non aveva badato prima. Si ferma un momento al caffè del Dôme, poi va a trovare, in uno studio di pittura, la sua amica Dorotea, una modella, e insieme fanno delle commissioni. Per caso assistono alla fine di un film e per disgrazia ad un incidente stradale. Le due ragazze si separano; Clèo, di nuovo sola, attraversa il parco di Montsouris. Per la prima volta si lascia avvicinare da un ragazzo: un soldato in licenza. Insieme vanno fino all'ospedale per conoscere l'esito dell'esame radiologico. Clèo vivrà.

Critica (1):... [È necessario] segnalare la padronanza artistica con cui Agnès Varda ha trattato questo soggetto. Qui, nulla è lasciato al caso. Agnès Varda non conosce la spontaneità. In lei tutto è voluto e mirabilmente concertato. Tutte le qualità che i film precedenti lasciavano presagire sono qui in atto, ma a un livello di perfetta padronanza. Come sempre, in lei la fotografia e la qualità plastica dell'immagine sono letteralmente affascinanti. Ma la stessa regia propriamente detta rivela una grande inventiva. La scena della prova, per esempio, è realizzata con campi molto ravvicinati (o, quando sono più lunghi, con la cinepresa sempre in movimento), che danno un ritmo stupendo a questa scena: veniamo così a scoprire la personalità scherzosa dei due compositori, Cléo come cantante, e poi, con poche inquadrature e batture sferzanti come colpi di frusta, tutto il tenebroso retroscena dei rapporti tra Cléo e Michel Legrand, finché non esplode il dramma di Cléo, con un ritmo straordinario, pieno al tempo stesso di grazia e di efficacia drammatica.
Più avanti, e particolarmente al Parc Montsouris, la macchina da presa, come se fosse stregata dall'ambiente, armonizza i suoi movimenti con il rilassarsi di Cléo, e si fa tenera, languida, mentre il ritmo del film assume un respiro pacato. Il magico ambiente della casa di Cléo, il fascino malizioso e tragico delle sue canzoni (le parole sono di Agnès Varda), il brio dell'interpretazione ci indicano che il talento di Agnès Varda è giunto rapidamente a una piena maturità. Ancora un elemento notevole e raro: Agnès Varda non tenta di provare un messaggio, né di dimostrarlo, né di trasmetterlo, ma porta con sé un universo che si impone, suo malgrado, in tutte le sue immagini....
In Cléo, realismo e ricercatezza si intrecciano sapientemente con finalità molto consapevoli. Tutto quanto ruota attorno a Cléo, al suo viso, alla sua andatura, al suo modo di vestirsi. Il suo appartamento è studiato e stilizzato al massimo, con alcune finezze poetiche, ma gli è di contrappeso un estremo rigore nell'esattezza dei più piccoli particolari, una rigorosa minuzia nella verità dell'insieme. L'azione dura esattamente quanto il film. I percorsi seguiti sono sempre corrispondenti al vero. Le notizie alla radio sono proprio quelle del 21 giugno 1961. Un'intensa stilizzazione si sposa, al secondo grado, con il "cinéma-vérité": l'arte trae giovamento da questa sbrigliata poesia, edificata sulle solide fondamenta di un realismo intransigente.
Pierre Billard, Cinéma 62, n. 66, 5/1962

Critica (2):Diciarmo subito che questo film si trova sul piedistallo di una mia gerarchia tutta personale: Cléo de 5 à 7 è, secondo me, il più bel film francese dopo Hiroshima, mon amour, Le bel âge (La dolce età, di Pierre Kast) e Le trou (Il buco, di Jacques Becker). Non c'è niente di più ammirevole di un'intelligenza nutrita di sensibilità, se non una sensibilità diretta dall'intelligenza. Niente di più raro di uno spirito appassionato tanto dal rigore quando dalla fantasia, se non un temperamento iper-istintivo e insieme lucidissimo. Agnès Varda incarna l'armonia di questi contrari, e probabilmente è il più completo dei nostri registi, se il suo sesso non la condiziona troppo (niente è meno sicuro di questo). Cléo perciò è nello stesso tempo il più libero dei film e il più costretto dai condizionamenti, il più naturale e il più formale, il più realista e il più prezioso, il più coinvolgente a vedersi e il più bello a guardarsi. Di fronte a una tale felicità espressiva una considerazione si impone: almeno una volta nella vita, Agnès Varda ha dovuto — sono parole sue — sporcarsi le mani. E le ha portato fortuna...
Le armi della seduzione della Varda sono molteplici: i dialoghi, la bellezza delle immagini e quella della protagonista, la ricchezza inventiva della messa in scena fanno di lei "lo stile": contrariamente a quanto disse Buffon, lo stile è la donna. I dialoghi alternati ai monologhi, i giochi di parole facili e scontati, le massime, le declamazioni, le preziosità, i proverbi kruscioviani, insomma molti elementi generalmente negativi, magnificati qui dalla naturalezza della recitazione e sommati tutti insieme, danno, secondo la nota legge matematica, un risultato di segno sicuramente positivo. D'altra parte la Varda e il suo operatore Jean Rabier dimostrano, nella ricerca della spontaneità, almeno altrettanto talento di Raoul Coutard, per usare un eufemismo, ed hanno sempre ben presente un fattore essenziale che "l'alterofilia" della cinepresa ignora: vale a dire il senso della plasticità....
Come in amore si deve avere il senso della proprietà ed anche quello dell'avarizia, così i film molto belli suscitano il desiderio, destinato a rimanere inappagato, di farne un inventario esaustivo. Desiderio inappagato, dal momento che solo i film multiformi riescono a suscitare la mania di farne un inventario, con la delizia del circolo vizioso. Come dice Marker, almeno «ho fatto il conto delle mie ricchezze». Mi viene in mente quell'inquadratura in cui si attinge l'eternità, quell'unico secondo che è il magico frutto di cento minuti di paura. Prima di quel momento lei era Cléo Victoire, cantante, dalle 5 alle 7 di pomeriggio del 20 o 21 giugno 1961. Da allora è Florence e Cléopàtre, from here to eternity.
Roger Tailleur, Positif n. 44, 3/1962

Critica (3):(…) Varda segue il percorso di una giovane donna, una cantante di successo, che teme di avere il cancro e attende la risposta delle analisi per le 7 di quella sera. Storia di una paura che trasforma lo sguardo sul mondo, di una fuga attraverso Parigi che muta il punto di vista senza lasciare intatta la fisionomia viziata e superficiale di Cléo. Dall'inizio alla fine del film, la donna si fa leggere le carte che predicono la morte, incontra il suo amante per dieci minuti, litiga con i musicisti, va al cinema con un'amica (e vede un cortometraggio girato sul modello delle comiche finali, interpretato da Godard, Samy Frey, Anna Karina), incontra per caso un soldato in licenza che, di lì a poco, deve ripartire per l'Algeria e, assieme a lui, va a ritirare le analisi all'ospedale. Non sapremo mai la gravità del male, ma, alla fine, quel che conta è la rinnovata voglia di resistere di Cléo, la quale, per la prima volta, si è lasciata scorrere dentro la vita, senza distrar-si. O meglio, per la prima volta, si è distratta da sé, dal soffocante vuoto del proprio narcisismo. «La conoscenza ha bisogno di traumi», spiega Varda. E aggiunge Sadoul, dopo aver visto il film: «Ho nel cuore, da allora, una piaga aperta. Non ci era mai stato fatto vedere così bene questo nostro tragico tempo dei ciliegi, con la morte e la tortura ad ogni angolo della strada, negli spettacoli quotidiani. E questa angoscia non è niente di metafisico, è tutta fisica... Avrò il coraggio di rivedere Cléo? Questo film mi tocca troppo in profondità. E non mi piace star male... Ma se .volete sapere cos'è un film vero, moderno, veramente del nostro tempo, se volete veder vivere gli eroi di oggi, se volete anche divertirvi — perché nella sua tragicità questa storia è molto buffa — allora via, non lasciatevi sfuggire Cléo de 5 à 7, uno di quei film che da soli basterebbero per fare della stagione 1961-62 una grande stagione».
(...)
All'inizio Cléo è una donna che ha smarrito l'anima, che non vede davvero più nulla, ammaliata dalla vita libera, intellettuale, moderna. Ma la notizia della malattia, il tempo infinito o troppo breve dell'attesa, la costringono a detestare i rituali stabiliti della sua esistenza. Il cinema la costringe a guardare; quel cinema di Agnès Varda che cattura Cléo dentro una moltiplicazione di punti di vista e la costringe ad uscire da sè, ossessionandola con una messa in scena tormentata e dissolta.
(…) Quella di Cléo è nient' altro che una lunga passeggiata (e sappiamo quanto valore avesse la passeggiata parigina nei film della Nouvelle Vague) attraverso il quartiere in cui abita, dentro i bar abituali, sulle terrazze dei Café, nei cinema, negli ateliers degli artisti. La macchina da presa di Varda segue e non segue il personaggio: nella prima sequenza del Café, ad esempio, emergono di volta in volta voci, storie dell'uno e dell'altro avventore e i racconti si intrecciano, si ostacolano, finiscono e poi riprendono, senza privilegiare un unico punto di vi-sta narrativo. Succede così anche nel mirabile piano seguenza all' interno della boutique dove Cléo volteggia tra i cappellini da acquistare. La macchina da presa entra ed esce dalla vetrina, assume il punto di vista di Cléo e poi, senza stacco, quello dei passanti (...) fluttuando attorno alla protagonista, nascondendola dietro uno specchio ingannatore, dietro un riflesso sul vetro. Sono esclusi i campi-controcampi, i raccordi conseguenti, la costruzione ordinata per gerarchie di sequenze e scene. Il problema del film è, invece, quale sguardo posare sul mondo, quale limite dare all'occhio della macchina da presa. Forse nessuno, nel tentativo di far uscire il personaggio stesso dalla propria cecità, forzandolo. All'inizio, il centro è Cléo. E lei che la macchina da presa guarda, è lei che la gente, la strada guardano. Ma in seguito, dopo che la donna è fuggita di casa senza parrucca, qualcosa si incrina. Sulla terrazza del Café è lei a cercare i volti delle persone, l'immersione completa in quella folla sempre ignorata e la cui indifferenza ora la inquieta.
«Il mondo è lì» — diceva più o meno Rossellini, l'unico, vero Padre — «perché ricostruirlo?». Vale anche per Varda, anche per Cléo. Giovani esseri senza più certezze sperimentano la vita e le sue crudeltà, trasformandola in sguardo puro, morale, sul mondo quotidiano. Attraversano il mondo, abbracciando il "caso", così come Cléo riconosce qualcosa e qualcuno nell'anodino soldato incontrato alla fine del suo girovagare.
«Due mesi di radiazioni e penso che poi andrà tutto bene» dice il medico a Cléo, sbrigativo, e riparte in macchina. Chissà cosa significa la sua frase, forse è solo una bugia, ma è a questo punto che la regista sceglie l'inquadratura più spericolata di tutto il film: un improvviso, rapidissimo, violento carrello parte dai due giovani e si allontana, seguendo la traiettoria dell'automobile, mentre i due rimangono schiacciati sul fondo del viale, piccole figure. Poi, altrettanto violento, il primo piano: «Penso di essere quasi felice» dice lei. Fine.(…)
Piera Detassis, “L’onda violenta”, in Agnès Varda, a cura di Sara Cortellazzo e Michele Marangi, Aiace-Torino-E.D.T., 1990.

Critica (4):Si sa, i film riconducibili alla Nouvelle Vague non nascono per compiacere i gusti del pubblico, dal momento che hanno una finalità autoriale prima ancora che commerciale. Il fenomeno Nouvelle Vague esplode in un periodo di profonda trasformazione dell'industria cinematografica francese, se non altro perché a partire dal 1959 il cinema non dipende più dal ministero dell'industria e del commercio, ma fa capo al ministero della cultura. Ed ecco che, grazie ad una maggiore sensibilità verso l'approccio artistico, iniziano a spuntare pellicole il cui andamento sul mercato è difficilmente prevedibile. Cléo dalle 5 alle 7 sembra sottintendere il conflitto tra un cinema che guarda al mercato e un cinema che guarda all'autore: attraverso la vicenda della protagonista, Agnès Varda tesse un'argomentazione a favore del secondo, affermando la propria autorialità fatta di cinécriture e di fusione tra film di finzione e documentario, o meglio, auto-documentario.
Tema centrale della pellicola è la conquista dello sguardo, che si sviluppa su due livelli: il primo è quello di Cléo, che tenta di emanciparsi da un'auto-rappresentazione idealizzante e accecante; il secondo è quello dello spettatore, chiamato ad emanciparsi da una rappresentazione stereotipata della donna e da un cinema commerciale, e a guadagnare uno sguardo critico.
All'inizio del film, Cléo sembra ferma allo stadio dello specchio, un po' come lo spettatore cinematografico: si sforza di credere alla propria immagine riflessa, ma si tratta di un'immagine idealizzata, di una maschera di femminilità. Resta una donna frammentata, letteralmente frammentata dalla rifrazione degli specchi e dalle ripetizioni di montaggio, oltre che da un vestito pointilliste. Come un film nato per accaparrarsi spettatori implica il ricorso a una ricetta di successo e dunque, esasperando il concetto, predilige la passività autoriale, così Cléo attira gli sguardi di altri che non può vedere se non come specchi e, in quanto donna-oggetto, soddisfa tutti i cliché della passività femminile: è la bionda, la bambina, la gattina, l'angelo, la bambola, la diva e, ironicamente, persino la malata.
La recita dura fino alle 17.40, momento in cui nella stanza-palcoscenico la mascherata si fa talmente evidente da comportare una presa di coscienza da parte della protagonista. La svolta è segnata da un cambio d'abito che questa volta non è più una vestizione passiva, ma una scelta dettata dalla soggettività, vale a dire, nell'accezione barthesiana, un passaggio dal costume all'abbigliamento. Così, allo shopping si sostituisce la flânerie, Cléopâtre diventa Florence (forse un eco di Ascensore per il patibolo) e può finalmente guadagnare uno sguardo. Anche se il finale aperto nega la certezza di un cambiamento definitivo, almeno la protagonista ha provato a liberarsi dei cliché, così come Cléo dalle 5 alle 7 ha provato a formare uno spettatore critico. Dopotutto mercato e autorialità coesistono, così come il tempo oggettivo e quello soggettivo, ragione e superstizione, fiction e documentario, o Florence e Antoine.
Federica Maragno, cinefiliaritovata.it-Cineteca di Bologna, 9/3/2018
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
Valid HTML 4.01! Valid CSS! Level A conformance icon, W3C-WAI Web Content Accessibility Guidelines 1.0 data ultima modifica: 02/05/2020
Il simbolo Sito esterno al web comunale indica che il link è esterno al web comunale