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Pasolini, un delitto italiano


Regia:Giordana Marco Tullio

Cast e credits:
Sceneggiatura:
Sandro Petraglia, Stefano Rulli, Marco Tullio Giordana; fotografia: Franco Lecca; montaggio: Cecilia Zanus; musica: Ennio Morricone; scenografia: Gianni Silvestri; costumi: Elisabetta Montaldo; interpreti: Carlo de Filippi (Pino Pelosi), Nicoletta Braschi (Graziella Chiarcossi), Toni Bertorelli (ispettore Pigna), Andrea Occhipinti (Furio Colombo), Victor Cavallo (Antonio Pelosi), Rosa Pianeta (Maria Pelosi), Giulio Scarpati (Nino Marazzita), Massimo de Francovich (Faustino Durante), Antonello Fassari (Rocco Mangia), Claudio Bigagli (Guido Calvi), Claudio Amendola ("Trepalle"), Ivano Marescotti (cliente degli avvocati Spaltro), Adriana Asti (insegnante), Umberto Orsini (secondo magistrato); produzione: Vittorio e Rita Cecchi Gori, Claudio Bonivento; distribuzione: Cecchi Gori Group; origine: Italia, 1995; durata: 99'.

Trama:Pier Paolo Pasolini viene ucciso a Ostia la notte tra l'1 e il 2 novembre 1975. Il solo accusato fu Pino Pelosi, diciassettenne "ragazzo di vita" arrestato quella notte e reo confesso.

Critica (1):Pier Paolo Pasolini, con la sua attività artistica e intellettuale (ma anche con la sua vita privata), è sempre stato segno di contraddizione e motivo di contrasti nell'Italia degli anni '60 e degli inizi degli anni '70. Vi era chi lo difendeva in ogni occasione e chi lo attaccava con costanza su tutti i terreni delle sue molteplici attività (lui stesso si definiva un ossesso facitore di troppe cose); vi era chi lo ammirava come poeta e lo detestava come scrittore, chi lo celebrava come cineasta ma dissentiva dalle sue valutazioni sulle mutazioni dell'Italia contemporanea (aveva condannato gli studenti del '68, stigmatizzandoli come figli di una borghesia trasformista, e difeso i poliziotti intervenuti in piazza contro di loro, in quanto figli del proletariato meridionale): in altri termini, i giudizi su di lui erano per lo più sfaccettati e al contempo sospesi, spesso altalenanti in rapporto alle opere che di volta in volta proponeva e alle posizioni che veniva assumendo con un crescente furore moralistico (quelli erano anni di furori maturati nel profondo delle menti e dei cuori). Vi era anche sempre stato (soprattutto a destra e in una parte significativa del mondo cattolico, non solo politico) chi lo reputava un blasfemo, una sorta di corruttore delle coscienze, un nemico da contrastare attivamente (i più di trenta processi in cui fu coinvolto per la sua produzione artistica, gli attacchi ricevuti - come per Il Vangelo secondo Matteo - ancor prima che la sua opera potesse essere conosciuta, i giudizi virulenti sulla sua persona a causa della sua omosessualità). In una intervista a "La Repubblica" del 12 settembre 1995 Giulio Andreotti - che fu uno dei suoi avversari pubblici più prestigiosi - dopo aver visto il film di Giordana ricorda che "allora nel mondo cattolico c'era una diffidenza forte: era uno che andava ad aspettare i soldati fuori dalle caserme, a Viterbo, e questo le declassava... Fra chi sapeva guardare con oggettività si sottolineava invece la sua grande sensibilità per i problemi religiosi. Aveva scoperto il lato umano del Vangelo". (…) Poco dopo la morte di Pasolini uscì sugli schermi lo sconvolgente Salò o le 120 giornate di Sodoma, una parabola agghiacciante sulla morte, una terribile rappresentazione della contemporaneità come Inferno, come luogo della distruzione integrale dell'umanità, come trionfo della violenza. Rifiutato nettamente da molti per le emozioni ossessive e intollerabili che produceva sullo spettatore, il film lasciava manifestamente trasparire una disperazione senza fine, il chiudersi definitivo di ogni orizzonte poetico ed esistenziale. Un tipo di disperazione che ha le sue radici nella cessazione di fiducia nell'Uomo e nelle possibilità della Storia; la stessa che avremmo imparato a riconoscere con sgomento negli anni successivi con i suicidi di Primo Levi, di Bruno Bettelheim, di Alexander Langer e in tante vicende di autoannullamento di persone conosciute. Tenuto conto di questi elementi non si può che concordare con Giordana quando all'incontro con la stampa alla Mostra di Venezia ha osservato che "un personaggio come Pasolini ha lasciato un groviglio di sensazioni e di opinioni da cui è difficile districarsi". Egli è stato un segno di contraddizione anche dentro di noi e in questi vent'anni una parte di lui (rivedendo i suoi film e rileggendo alcuni suoi scritti) ci è parsa ancora più attuale ed essenziale per muoversi in un presente sempre più complesso dalle immagini opache di futuro, mentre una parte di lui ci è parsa caduca, legata ad una stagione e a un sentire dissolti. L' annuncio di un film su di lui e la lettura delle prime interviste durante la lavorazione, di conseguenza, non potevano che creare attese ambiziose tutte orientate a riconsiderare alcuni dei molti volti della sua esperienza umana e della sua opera, magari alla luce degli umori delle problematiche e dei modi di essere della metà degli anni '90, con alcune sue profezie divenute quotidianità. L'attesa minimale era naturalmente che dal film emergesse un ritratto di Pasolini capace di descriverne intuitivamente la ricchezza a chi anagraficamente non può conservare la memoria della sua presenza nella vita italiana contemporanea. Giordana, mettendo in ordine di priorità gli scopi del film, ha indicato come principale "il recupero del sentimento dell'assenza di Pasolini, uno sguardo sull'Italia a vent'anni dalla sua morte". (…)
Gianluigi Bozza, Cineforum n. 348, ottobre 1995

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Tullio Giordana
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