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Prigioniero coreano (Il) - Geumul


Regia:Ki-duk Kim

Cast e credits:
Sceneggiatura: Kim Ki-duk; fotografia: Kim Ki-duk; musiche: Park Young-min; montaggio: Park Min-sun; scenografia: An Ji-hye; costumi: Lee Jin-sook; interpreti: Ryoo Seung-bum (Nam Chul-woo, il prigioniero), Lee Won-gun (Oh Jin-woo, la guardia), Kim Young-min (l'investigatore), Choi Guy-hwa (il dirigente); produzione: Kim Soon-Mo; distribuzione: Tucker Film; origine: Corea del Sud, 2016; durata: 114’.

Trama:Dopo un guasto accidentale al motore della sua barca, Nam Chul-woo, un pescatore della Corea del Nord, va alla deriva e arriva in Corea del Sud. Qui è sottoposto a una serie di brutali indagini e poi rispedito nel suo Paese. Prima di andarsene, però, ha il tempo di rendersi conto dello sviluppo economico così come dei lati oscuri della Corea del Sud. Tornato a casa, Nam è vittima delle stesse indagini affrontate nel Sud. L'esperienza vissuta tra i due Paesi gli lascerà un senso di tristezza e la sensazione di essere intrappolato nell'ideologia di due nazioni divise.

Critica (1):Nam Chul-woo, una moglie e una bimba, è un pescatore della Corea del Nord. A causa di un guasto accidentale al motore della sua barca, va alla deriva e sconfina in Corea del Sud. Subito preso in custodia, viene sottoposto ad una serie di brutali indagini. È una spia? Forse. Appurato il contrario, il pescatore potrà tornare a casa? Difficile, visto che lo scopo della democratica Seoul è quello di “liberare” i cittadini dalla dittatura di Kim Jong-un. Ma Nam Chul-woo non ne vuole sapere di “disertare”: alla questione ideologica il pescatore antepone quella degli affetti, visto che rimanere lì significherebbe non rivedere mai più la sua famiglia. E nemmeno l’immersione forzata nelle “tentazioni capitaliste”, tra le superfici riflettenti e luccicanti della grande metropoli, sembra convincerlo del contrario…
Kim Ki-duk torna nuovamente a Venezia (...) e lo fa con un film che, senza troppi giri di parole, mette a confronto le contraddizioni e le similitudini di un paese (la Corea tutta) ancora troppo lontano dal miraggio della riunificazione. Il regista de L’isola, Address Unknown, Bad Guy, Ferro 3 ha ormai affievolito la potenza dei suoi anni migliori ma non per questo ha smesso di interrogarsi sugli aspetti più crudeli (nonché inverosimili) dei nostri tempi. Torna alla mente, seppure in chiave chiaramente differente, Il ponte delle spie di Steven Spielberg: lì c’era un muro a dividere un mondo dall’altro, qui un povero pescatore finisce invece nella rete (The Net) che inceppa il motore (anche della barca, sì) delle logiche umane. Innescando un incubo kafkiano dal quale sarà impossibile uscire.
La libertà, quella vera, è nel poter tornare sulla barchetta e garantire la minima sussistenza ai propri cari. Ma nel terribile ping-pong delle ideologie resterà un sogno destinato a finire… in rete.
Valerio Sammarco, cinematografo.it, 31/8/2016

Critica (2):Dal Leone d'oro al Cinema nel Giardino il passo non è poi così lungo: premiato col massimo riconoscimento nel 2012 con Pietà, a Venezia il sudcoreano Kim Ki-duk è stato successivamente portato fuori concorso (Moebius, 2013) e alle Giornate degli Autori (One on One, 2014). Quest'anno, invece, il regista di Ferro 3 (2004) ha trovato spazio nella nuova Sala Giardino con The Net. Al centro della trama c'è un pescatore della Corea del Nord che finisce per andare alla deriva verso la Corea del Sud a causa della rottura del motore della sua barca. Dopo aver subito brutali interrogatori, vie-ne rispedito a casa ma prima di lasciare la Corea del Sud, avrà modo di pensare a lungo a quella società che contrasta con l'immagine "sviluppata" del suo Paese natale.
Trattando nuovamente il contrasto tra le due Coree (già presente, ad esempio, in The Coast Guard del 2002), Kim Ki-duk torna a quel cinema politico che aveva segnato i suoi esordi, puntando su una messinscena grezza e su una narrazione che non ammette l'utilizzo della retorica. Esplicito nel messaggio che vuole veicolare (forse anche troppo), l'autore sudcoreano riflette su differenze e similitudini tra le due nazioni (gli interrogatori sono praticamente gli stessi), mostrando il lato più oscuro di entrambe e non risparmiando critiche (anche) al suo paese natale.
Gli spunti non sono banali, anzi, e il finale può rimanere impresso al termine della visione, ma diversi sono i limiti da attribuire a una parte centrale troppo prolissa e ridondante. Resta
comunque lo spessore di un'analisi sociale quasi sempre incisiva, soprattutto per quanto riguarda l'insistenza del protagonista nel non voler aprire gli occhi di fronte a un mondo che gli hanno
insegnato a non poter guardare. (...)
Andrea Chimento, Cineforum n. 558, 10/2016

Critica (3):

Critica (4):
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