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Notturno Indiano - Nocturne Indien


Regia:Corneau Alain

Cast e credits:
Soggetto: dal romanzo omonimo di Antonio Tabucchi; sceneggiatura: Alain Corneau, Louis Gardel; fotografia: Yves Angelo; scenografia: Partho Sengupta; musica: Franz Schubert; montaggio: Thierry Derocles; suono: Pierre Gamet, Gérard Lamps; interpreti: Jean-Hughes Anglade (il viaggiatore), Clémentine Célarié (Christine), Otto Tausig (Peter Schlemihl), T.P. Jain (il dottore), Iftekhar (il professore di teosofia), Dipti Dave (Vimala Sar) Tinku Parma (la scolara); produzione: Maurice Bernart, per Sara Films/AFC/Ciné Cinq/Christian Bourgois Prods; distribuzione: ACADEMY; origine: Francia; durata: 110'; anno: 1989.

Trama:Un ricercatore di antiche cronache d'archivio si trova in India per lavoro e per cercare un uomo che un tempo era stato suo amico, inspiegabilmente scomparso in seguito. Ben presto la motivazione iniziale del viaggio viene abbandonata a favore della seconda, man mano che il viaggio si dipana e gli incontri si susseguono, l'uomo sembra voler coscientemente sfuggire al suo inseguitore. Quando però il viaggiatore sembra essere ad un passo dalla risoluzione del mistero e dell'incontro con l'amico di un tempo sembra imminente, egli si rende conto di non avere più voglia di agire in tal senso.

Critica (1):Il film si apre con alcune immagini della città di Bomabay. Esse sono praticamente gli unici esterni di tutto il film. Abituati come siamo all'esotismo dei luoghi tipici di un'India turistica ad uso e consumo del pubblico occidentale, stupisce non poco questa scelta stilistica. In realtà essa costituisce uno dei punti di forza del film, riduzione cinematografica di un racconto dello scrittore Antonio Tabucchi che ultimamente sembra essere piuttosto ricercato, forse proprio per l'attitudine così naturalmente ellittica e "visiva" della sua scrittura. Perciò il regista Alain Corneau, dopo queste iniziali pennellate ambientali, concentra tutto il suo film sugli incontri che scandiscono l'itinerario seguito dal protagonista (uno splendidamente attonito Jean-Hughes Anglade) e che costituiscono in realtà vari gradi di conoscenza, a metà tra il viaggio interiore ed il viaggio filosofico. In ciò assecondando fin troppo (e forse qui sta il limite maggiore, peraltro non decisivo, del film) la narrazione di Tabucchi. Messo da parte però il confronto riduttivo tra l'opera di Corneau e la sua fonte letteraria, il film presenta indubbi motivi di interesse. A cominciare dall'essenzialità della linea narrativa adottata, e dal coraggio dimostrato nel voler raccontare una storia in cui gli antefatti dell'azione e l'azione stessa sono abilmente occultati, ed in cui i frammenti narrativi disseminati lungo il film non si sviluppano ulteriormente e si ricompongono nel finale, spiazzando così lo spettatore e deludendo la sua attesa che si concretizzi l'oggetto di quella "indagine" cui apparentemente fanno riferimento gli spostamenti del protagonista e la fascinosa allusività dei dialoghi. Il percorso seguito dal protagonista si rivela in realtà un viaggio interiore, circoscritto alle pareti, reali e metaforiche insieme, della sua anima, cui non necessita né un "forte" referente esterno, né una fisica dimostrazione di sé. La macchina da presa si limita perciò a seguire il lento itinerario della perdita di sé percorso dal protagonista, a descrivere i luoghi e le atmosfere, indefinibili che li avvolgono soffermandosi sui volti dei personaggi e sui minimi gesti che quasi impercettibilmente essi compiono, e a registrare dei dialoghi, quel tanto che basti a tener desta l'attenzione dello spettatore senza cedere al suo "tele(porno)visivo" desiderio di vedere, ascoltare e sapere tutto dei personaggi, in ciò rispettando l'intelligenza e la sensibilità dell'uno, e il legittimo diritto di non svelarsi completamente degli altri.
Corneau non commette l'errore di riempire la cornice, atto a cui già Tabucchi aveva rinunciato nel suo racconto, con artifici narrativi e visivi che risulterebbero estranei al contesto, si limita a rappresentare la "cornice" in quanto tale, scegliendo consapevolmente di rimanere in bilico fra detto e il non detto, il visibile e il non visibile, in una sana e affascinante ambiguità, ed evitando quella tentazione di spiegare, semplificare, rendere innocuo, di creare tensioni e identificazioni fittizie, che é propria di tanti prodotti televisivi e, più genericamente, di tanto "rumore" mass-mediale. Insomma una specie di attitudine ad una "ecologia" audiovisiva. Ma quello che intriga maggiormente di questo film é il fatto che la progressiva perdita della propria identità non é vissuta da protagonista in modo drammatico e traumatizzante. Il ricercatore occidentale ben presto "dimentica" gli obblighi del suo lavoro e si dedica totalmente alla sua personale indagine, che ad ogni tappa, ad ogni incontro gli rivela la fallacia di qualsiasi concezione fideistica di una identità univoca. Il viaggio conduce quindi il viaggiatore alla scoperta della molteplicità delle sfaccettature della propria personalità ('Tu sei un altro" gli dice la mostruosa indovina in cui si imbatte in una delle tappe del suo viaggio) e della realtà esterna a sé ("Il reale senza cornice é sempre un'altra cosa" scrive Tabucchi in un passo del suo racconto), a quel rispecchiamento dell'io nel tutto ipotizzato da molte filosofie orientali che evidentemente in netto contrasto con l'aggressiva affermazione della chiusa univocità del proprio io individuale che caratterizza invece la cultura occidentale. Quindi il ricercatore/ viaggiatore a poco a poco scopre, a contatto con un'altrove geografico e di pensiero, la propria alterità, di essere "altro", anzi "altri" da ciò che credeva di essere, e forse inseguitore ed inseguito erano solo aspetti diversi della stessa realtà interiore. Lo spettatore non lo saprà mai, come forse non lo saprà mai il viaggiatore dall'espressione stupefatta che si riflette nello specchio nel finale del film. Lo si può solo immaginare. ma questo appartiene ad un'altra storia, ad un'altra realtà, fuori dalla cornice.

Massimo Celani Segno Cinema n. 42 marzo 1990

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Critica (4):
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