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Cose belle (Le)


Regia:Ferrente Agostino, Piperno Giovanni

Cast e credits:
Sceneggiatura: Agostino Ferrente, Giovanni Piperno; fotografia: Giovanni Piperno, Sebastiano Mazzillo; musiche: Rocco De Rosa, Canio Loguercio, Alessandro Murzi; montaggio: Paolo Petrucci, Roberta Cruciani; suono: Max Gobiet, Daniele Maraniello, Marco Saveriano; interpreti: Enzo della Volpe, Fabio Rippa, Adele Serra, Silvana Sorbetti; produzione: Antonella Di Nocera, Agostino Ferrente, Donatella Francucci, Giovanni Piperno per Pirata M.C.- Parallelo 41-Point Film-con Bianca Film, Ipotesi Cinema, con la collaborazione di Ananas-Blue Film-Fondazione Bideri; distribuzione: Istituto Luce Cinecittà; origine: Italia, 2013; durata: 88’.

Trama:Il faticoso passaggio all'età adulta raccontato attraverso le storie di Fabio ed Enzo, due ragazzini di dodici anni, e di Adele e Silvana, due quattordicenni, in due momenti fondamentali delle loro esistenze: la prima giovinezza nella Napoli piena di speranza del 1999 e l'inizio dell'età adulta in quella paralizzata di oggi.

Critica (1):Quando si dice andare controcorrente. Mentre sugli schermi di ogni dimensione trionfano il falso e il fittizio. Mentre la parola 'reality' ormai significa il suo contrario. Mentre perfino i corpi degli attori sono spesso sostituiti da docili avatar digitali, due avventurosi registi italiani fanno un grande film tuffando le mani nella cosiddetta realtà. Con la capacità d'analisi, la potenza di racconto, la raffinatezza stilistica del cinema-cinema. Più il peso e il sapore unici di quella cosa là, appunto: la realtà. Anche se Enzo, Fabio, Adele e Silvana, quattro ragazzini della Napoli più popolare, sono strappati alla vita e inseriti in un progetto di grande ambizione che abbraccia 13 anni. Una parte de Le cose belle viene infatti da un lavoro del '99, Intervista a mia madre, in cui Ferrente e Piperno pedinavano con complicità e rispetto totali i sogni, le speranze, l'umorismo, la disperata vitalità dei protagonisti. Mentre oggi tutto è cambiato. La Napoli del 'rinascimento' bassoliniano è invasa da monnezza vera e metaforica, i corpi sono cresciuti, la luce dell'adolescenza è diventata un bagliore intermittente, le 'cose belle' si sono congelate in una distanza siderale. Ma i quattro protagonisti continuano a concedersi con disarmante disponibilità. Senza ombra di voyeurismo o peggio di patetismo, anche se non hanno vite facili, perché Piperno e Ferrente trovano sempre la giusta distanza (...). Ferrente e Piperno sono (...) discreti e soprattutto capaci di scavalcare la cronaca usando luci, musiche, montaggio, colori, per darci uno sguardo sempre interiore sui loro personaggi. Con un gusto, un'inventiva, una capacità di dare e chiedere attenzione rarissimi nel cinema di oggi. Un'occasione davvero unica, insomma, per capire questo paese fuori dai cliché. Purché si tengano occhi, orecchie e cuore ben aperti.
Fabio Ferzetti, Il Messaggero, 27/6/2014

Critica (2):Le cose belle è – diciamolo per approssimazione – un documentario, visto in sala per la prima due anni fa alle Giornate degli Autori a Venezia, rimontato per l’uscita al cinema ora, realizzato in modo coraggioso e complicato lungo un arco di tredici anni. Un’opera aperta che segue le vite di quattro ragazzi di Napoli: nel 2000 Ferrente e Piperno girarono per Rai Tre un documentario intitolato Intervista a mia madre per il quale, dopo un casting forsennato, scelsero come protagonisti quattro preadolescenti di dodici/quattordici anni anni (Silvana, Adele, Enzo e Fabio); una dozzina di anni dopo ritornano a Napoli, riconquistano la fiducia dei quattro, e raccontano che vita fanno ora. Il film è il montaggio dei due tempi, e basterebbe soltanto una delle tante scene in cui si giustappongono le facce, i corpi, le voci ancora informi dei ragazzini, le loro sguaiate confessioni, con gli sguardi stanchi, sconfitti, disincantati di loro semi-adulti, per far pensare a che piccolo capolavoro sono riusciti a creare Ferrente e Piperno.
Quando realizzarono Intervista con mia madre scelsero per il cast gli unici quattro che alla domanda su cosa volevano fare da grande, non s’illudevano che sarebbero diventati un calciatore o la velina. L’intenzione era di raccontare un contesto famigliare difficile, povero ma “normale”: niente storie di microcriminalità, babyprostituzione, o altro disagio giovanile. Enzo dodicenne ad esempio canta pezzi del repertorio napoletano classico, accompagnando il padre nei ristoranti in quella che a Napoli si chiama “la posteggia”, Silvana, Adele e Fabio sono dei ragazzini disinvolti che sembrano potersi mangiare il mondo solo con l’energia inesauribile che hanno addosso. (…)
Quello che ne viene fuori è veramente un film teatrale, nel senso di plastico e irripetibile, capace di liquidare qualunque retorica su Napoli, splendore e bellezza, crimine e allegria, per riportare a una dimensione umana, vicinissima, paradossalmente dialettica, la storia contemporanea di questa città e, per facile metonimia, di tutta l’Italia.
Complice di questa grazia è l’altro talento stellare che Piperno e Ferrente sono in grado di dimostrare, quello di infischiarsene dei confini tra fiction e non-fiction. Le cose belle è un documentario o un film di finzione? Ecco una domanda che, per chi ha visto il film, si rivela pleonastica. Ci siamo finalmente emancipati da quelle categorie solo merceologiche confinano il documentario a una fruizione d’essai? Se n’era già parlato quest’anno in occasione del (relativo) successo di documentari come Sacro GRA o Fuoristrada e di film di finzione come Piccola patria.
È palese, ma non potrebbe essere il contrario, come nel film l’intervento dei registi non si sia limitato a registrare ciò che accadeva, ma abbia condizionato la struttura drammaturgica, e addirittura abbia finito con incidere sulle vite dei protagonisti: Enzo aveva deciso anni fa di smettere di cantare – nelle immagini del 2012 lo vediamo alle prese con un lavoro di venditore porta a porta per Tele2 – ma dopo aver visto il film ha cambiato idea e oggi ha scelto di provare a prendere il posto del padre anziano nella posteggia e intanto accompagna le proiezioni delle Cose belle in giro per la penisola con dei suoi mini-concerti.
In Italia si fanno film bellissimi, che spesso non arrivano in sala, non vengono ritrasmessi in tv, non vengono visti nelle scuole, o se questo capita avviene sempre per pubblici di nicchia. Eppure in una gran quantità di casi, questi film possiedono una luce proprio su quel mondo più complicato da restituire al cinema evitando il colore, l’infanzia e l’adolescenza. A citare in modo approssimativo, vengono in mente La guerra di Mario di Antonio Capuano, Fratelli d’Italia di Claudio Giovannesi, Bellas mariposas di Salvatore Mereu, L’estate di Giacomo di Alessandro Comodin, L’intervallo di Leonardo Di Costanzo, Le meraviglie di Alice Rohrwacher… Tutte storie micro, private, provinciali, ma proprio per questo forse sono i film più espressamente politici, in cui la crisi sociale passa attraverso l’attrito generazionale. Nelle Cose belle questa frizione non è soltanto evocata, ma illuminata senza pudore.
Se la scena della politica viene abitata oggi da grandi vecchi e telemachi, se sono le illusioni perdute o mai avute il paesaggio emotivo che descrive il nostro vivere un’Italia tarlata dalla crisi, se lo scontro sociale ha trovato la sua forma espressiva nel confronto generazionale e nella distanza tra città e quello sprawl che sono i palazzoni e le villette anonime delle periferie qualunque di un paese immaginato solo dagli speculatori immobiliari, il film di Ferrente e Piperno è come se ci regalasse un antidoto a questa lettura ferale dei nostri asfissianti anni recenti, attraverso l’unica ironia veramente persuasiva: il tempo passa su ciascuno di noi. Su quello che abbiamo visto, e sui nostri sguardi. Ed è l’unico modo che abbiamo per sentirci affratellati a qualcuno.
Christian Raimo, europaquotidiano.it

Critica (3):

Critica (4):
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