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Posta celere - Budbringeren


Regia:Sletaune Pål

Cast e credits:
Sceneggiatura
: Pål Sletaune, Jonny Halberg; fotografia: Kjell Vassdal; montaggio: Pål Gengenbach; musica: Joachim Holbek; suono: Ragge Samuelson, Sturla Einarson; scenografia: Karl Juliusson; interpreti: Robert Skærstad (Roy), Andrine Sæther (Line), Per Egil Aske (Georg), Eli Anne Linnestad (Betsy), Trond Høvik (Sæther), Henriette Steenstrup (Gina), Ådne Olav Sekkelsten (Per), Trond Fausa Aurvåg (Espen); produzione: Dag Nordhal, Peter Bøe per MovieMakers AS.; distribuzione: Mikado; origine: Norvegia, 1996; durata: 83’.

Trama:Oslo. Roy Amundsen è un postino senza qualità che in una irrefrenabile coazione a ripetere entra nella vita dei destinatari delle sue missive, ma non per voyeurismo. Roy infatti si sbarazza della posta in una galleria ferroviaria senza leggerla. Il curioso Roay arriva a intrufolarsi nella vita di Line, una giovane non udente, e si trova nei guai.

Critica (1):Storie di volti ordinari. Volti tipici del cinema scandinavo: tristi, con lo sguardo spento, inclini a vivere i propri amori quasi per inerzia. I volti di Posta celere appaiono come eredi di quelli di Kaurismäki: quasi dissolti nella loro assenza, con una (stra)ordinaria capacità di assorbire il dolore nel loro corpo. Si avvicinano alla morte, si trovano in condizioni economiche instabili, ma riescono miracolosamente a resistere fisicamente. Il loro corpo sopravvive proprio per questa loro assenza, per questa involontaria capacità di non comprendere il reale valore tragico dell’evento che stanno per affrontare o che hanno appena affrontato. Il volto di Andrine Sæther è simile a quello di Kati Outinen. Entrambe le donne nascondono la propria bellezza in abiti dimessi. La macchina da presa (sia di Sletaune sia di Kaurismäki) mantiene da loro un voluto distacco. Tale distanziamento è necessario. Serve per esaltare gli spigoli del volto, lo sguardo inespressivo che le caratterizza. Sono donne senza stimoli, intrappolate in una quotidianità monotona,, addirittura squallida. La protagonista di La fiammiferaia vive la propria professione con lo stesso “atteggiamento” visivo-espressivo di Line. Dimostrano entrambe più anni di quelli che hanno. Soprattutto non vedono oltre il proprio presente. Lo stesso volto di Roy/Robert Skjærstad ha uno sguardo fisso su ambienti che variano continuamente. Non c’è espressione di gioia, di dolore. Nessuna emozione trapela. Anche in questo senso è erede degli eroi dell’autore finlandese. Come Reino in Tatjana e Lauri in Nuvole in viaggio, anche Roy si trova in uno stato di perenne nomadismo. Il suo sguardo non riesce a intrappolare porzioni di spazio perché questo varia continuamente con una velocità considerevole. Esistono luoghi fissi (il nascondiglio sotto la galleria ferroviaria, la casa di Line), ma vengono visitati fugacemente. (...) L’opera di Pål Sletaune si muove all’insegna del moto perpetuo. L’aggettivo celere del titolo lo conferma. È un moto in cui i soggetti tendono a cancellare le rispettive identità. Line ritiene di poter raggiungere il proprio scopo ritenendo che l’annullamento della propria identità coincida con l’annullamento della propria esistenza. Per Roy il discorso è ancora più complesso. Egli rifiuta la propria identità cercando al tempo stesso di rubarla agli altri. Apre le lettere che non gli appartengono impossessandosi così di porzioni di privacy. È un corpo accumulatore di esperienze e spazi altrui. Ma la negazione di se stesso più radicale nel postino è presente in due momenti precisi: l’appropiazione dell’appartamento di Line; la decorazione da parte del Dipartimento delle Poste dopo “aver salvato” la propria borsa dall’assalto di tre junkies. Nel primo caso si impossessa di oggetti per cancellare le proprie coordinate esistenziali: la chiave lasciata nella serratura della cassetta delle lettere, la scatola dei Kellog’s, il letto della camera di Line, la foto della donna. La propria identità è penetrata progressivamente in quella di Line, appropriandosene. Basta vedere l’eccessiva reazione del postino nel momento in cui la prostituta, che si è portato a casa sua (cioè, in quella di Line), indossa un capo di abbigliamento appartenente alla donna che ora si trova in ospedale. Siamo sicuri che sia una reazione tipica di un uomo innamorato? Siamo sicuri che Posta celere sia una storia d’amore? Nel secondo caso Roy è un eroe per caso. Ha “protetto” la borsa solo perché la cinghia si era incastrata con il suo corpo. La sua premiazione – in una “cerimonia” dal décor innocuo in cui Sletaune riesce con un semplice sguardo oggettivo a esprimere efficacemente tutto lo squallore della situazione – celebra uno stato di momentaneo coma di una potenziale nuova identità, dopo il coma fisico che ha rappresentato il battesimo di una nuova esistenza. Tale situazione rimette il postino a diretto contatto con una professione che ha dimostrato in pieno di detestare. Viene elogiato per una maniacale professionalità sul lavoro, quando lui ne è l’antitesi: riconsegna la posta dopo averla aperta non curandosi affatto di nascondere chiari segni di manomissione sulla busta; si muove sempre a piedi senza un mezzo di locomozione che possa minimamente velocizzare la consegna della corrispondenza (anche i più diversi “postini cinematografici” come Tati e Troisi viaggiano perlomeno con una bicicletta). Roy si libera a un certo punto anche delle proprie generalità. Conosce la prostituta in un locale, si presenta con il nome di Georg (il malvivente), le presenta un biglietto da visita. C’è un bisogno impellente di uscire dai propri codici privati, vestendo panni altrui. Lo splendido finale è a questo punto indicativo. Sletaune bara sapendo di barare. Alla domanda di Line: «Hai intenzione di seguirmi ancora per molto?», Roy risponde: «Credo di sì». Il postino non può più fare a meno di quel corpo proprio perché là dentro è contenuta la sua nuova identità. Quella vecchia è stata cancellata. Non c’è mai un approccio tenero, un gesto d’affetto tra i protagonisti, un tentativo di seduzione da parte del postino. La macchina da presa riprende ora quei due personaggi con un distacco crudelmente oggettivo dopo essere stata incollata sui loro volti per gran parte del film quasi per impedirne contatti e/o complicità epidermiche. I dubbi che Posta celere sia una travagliata vicenda sentimentale si amplificano ora in maniera ancora più netta. Posta celere si caratterizza anche per i suoi ambienti: interni fatiscenti (con cucine terribili, avanzi, vomito, rifiuti vari), lavanderie poco accoglienti, librerie che non si discostano nella loro disposizione da un supermercato, locali tristi e squallidi in cui si canta il karaoke, vie sinistre, scale scalcinate. Luoghi non accoglienti, sinistri, in una Oslo labirintica, spesso dominata dalle tinte scure, quasi spettrali della fotografia di Vassdal. Il film di Sletaune danza su diversi livelli di narrazione. Non può vivere senza i suoi volti, senza i suoi corpi che rifiutano la propria identità, senza i suoi ambienti. Ma l’opera prende intenzionalmente le distanze dalla realtà senza però perdere al tempo stesso i connotati realistici. Il trentaseienne regista norvegese rapisce i propri personaggi per restituirli sullo schermo straordinariamente spaesati. È in questo contesto che egli può operare un processo di contaminazione tra il noir e il comico, il tragico e il picaresco. Prima di Posta celere, il suo lungometraggio d’esordio vincitore della Semaine della Critique a Cannes 97, il cineasta aveva realizzato Eating Out (1993), cortometraggio che contaminava narrativamente la confusione di una rapina con l’ottusa meticolosità di un mangiatore di hamburger. Ha una riuscita natura motoria Posta celere. Il suo movimento è messo in atto anche da uno script mobile, elastico, pronto a modificarsi anche in base all’interpretazione dei due attori, i bravi Robert Skjærstad e Andrine Sæther, capaci di esibire l’astrazione del proprio corpo con sorprendente naturalezza. Posta celere, pur nella sua caotica e non sempre equilibrata fusione di elementi, nella costruzione di un’atmosfera tragica in cui subentra (forse con eccessiva irruenza) una sorta di “commedia degli equivoci” (gli uomini con la prostituta che pestano Georg quando vogliono punire Roy) riesce a mettere comunque in luce il personale universo di un giovane autore che ha già il dono di una propria riconoscibilità cinematografica.
Simone Emiliani, Cineforum n. 367, sett. 1997

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Pål Sletaune
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