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Eternità e un giorno (L’) - Mia aioniotita kai mia mera


Regia:Angelopoulos Theo

Cast e credits:
Sceneggiatura
: Theo Angelopoulos, Tonino Guerra, Petros Markaris; fotografia: Yorgos Arvanitis, Andreas Sinatos; montaggio: Yannis Tsitsopoulos; musica: Eleni Karaindrou; interpreti: Bruno Ganz (Alexandre), Fabrizio Bentivoglio (poeta), Isabelle Renauld (moglie di Alexandre), Achileas Skevis (bambino albanese), Despina Bebedeli (madre di Alexandre); produzione: Classic srl e Istituto Luce in collaborazione con RAI Cinemafiction - Paradise Film - Intermedias S. A. - Greek Film Center ; distribuzione: Istituto Luce; origine: Grecia/Francia/Italia, 1997; durata: 120’.

Trama:È domenica e la pioggia su Salonicco ha il colore del crepuscolo. Alessandro si prepara a lasciare per sempre la sua casa sul mare dove ha sempre vissuto. Girovagando per casa ritrova una lettera di sua moglie, Anna che gli parla di un giorno d'estate di trent'anni prima. Allora, per lui, comincia uno strano viaggio nel corso del quale passato e presente si mescolano.

Critica (1):«Perché proprio me?», chiese Bruno Ganz quando Angelopoulos gli propose L’eternità e un giorno. [...] «Avevo pensato subito a Mastroianni . Ci incontrammo a Rimini, gli parlai del film, gli lasciai il copione, ma sentivo che era più vecchio di come volevo Alexandre. Poi andai a Milano a vederlo in teatro, magnifico, sommerso dagli applausi e poi per strada la gente che lo fermava, lo salutava, lo ringraziava. Ma si sentiva la morte. A cena dissi che non avrei fatto il film con lui. Lo capisco, mi rispose. Ti sembra una storia troppo malinconica? gli chiesi. La poesia non è mai malinconica, rispose. Quando arrivò il suo taxi, lo vidi allontanarsi, si girò, mi fece un cenno con la mano. Fu l’ultima volta che lo vidi. L’eternità e un giorno è dedicato a Marcello». Angelopoulos è a Cannes con Bruno Ganz [...] L’eternità e un giorno ha avuto gli applausi in sala e per molti la Palma d’oro sarebbe dovuta. «Un premio è più utile ai produttori, valorizza il film, ma non risolve il mio problema. Che è quello di capire in che percentuale sono riuscito a realizzare le mie intenzioni. Se supero il 30 per cento sono già contento. Comunque sono una persona normale, gli applausi fanno piacere a tutti, accontentano il nostro egoismo», dice Angelopoulos.

Si dice che questo sia il suo film più autobiografico...
Così vicino, così lontano... Molte cose appartengono alla mia vita, vissuta o intellettuale, è mia la malinconia di Alexandre, ma non mi somiglia nei comportamenti. Un film è sempre autobiografico, nasce dai temi che mi appassionano, dalla gente che considero la mia famiglia che non sempre corrisponde a quella naturale. Adoro le mie figlie, ma spesso il loro linguaggio, il loro interesse per i computer o per il vivere di oggi mi è estraneo, mentre con altri, come con Tonino Guerra, la comunicazione è semplice. Se mi lascio andare con Tonino alle mie riflessioni, le delusioni politiche, le speranze perdute, lui sa di che parlo. Questo intendo per famiglia.

Ancora una volta i temi dell’esilio, della frontiera...
Io sono greco di lingua e di cultura, ma per me la Grecia non è un paese, è una civilizzazione che attraversa il mondo. Un paese esiste per la sua gente, non per la politica. Mi chiedono spesso, anche di recente, di entrare in politica, ma io non c’entro. Melina Mercouri ha scelto di farlo, ha anche recitato bene il suo ruolo di ministro della cultura, ma quello che io sento e sono preferisco metterlo nel cinema. E sento che malgrado si abbattano le frontiere, i confini tra gli individui resistono. L’Europa che si unisce può risolvere i problemi legati a una logica economica, ma non è questo che nutre le nostre anime, il rapporto tra i nostri egoismi e il rispetto degli altri. Chi abbatterà queste frontiere?

Nel film mostra un’umanità infantile clandestina che vive alla giornata, braccata, in fuga. Corrisponde alla realtà?
In Grecia c’è una grande emigrazione, ci saranno 400 mila albanesi, e vivono tra la normalità e la clandestinità. Si sa che nei Balcani c’è un problema di bambini emigrati, lavano i vetri, vengono adottati, finiscono nella prostituzione. Ho assistito io - non dico in quale paese - alla “vendita” di un gruppo di bambini, chissà per quale destino, la stessa scena che c’è nel film. C’è sempre un bambino nei miei film, era importante l’incontro di un uomo che finisce la sua vita con chi la comincia e ha ancora tutto da scoprire. E vedere il bambino che si allontana su una nave è un segno di speranza, il mare non ha frontiere, almeno nel nostro immaginario.

Anche un matrimonio c’è sempre nel suo cinema...
Uno psicanalista direbbe che ho qualche problema, che ho ancora bisogno di assimilare il matrimonio. Ho una moglie e tre figli eppure non mi sento sposato.

Un simbolo molto forte nel film è il ragazzo con la bandiera rossa che dorme sull’autobus...
È l’incontro con qualcuno rigettato dalla Storia. Non amo raccontare gli incontri con la Storia, ma quello che è rimasto. Su quell’autobus c’è la vita con tutti i suoi simboli, il vecchio che muore, il futuro del bambino, il tempo che passa ma resta immobile, la rivoluzione che dorme.

Che rapporto ha con gli attori?
Irrazionale, come l’amore. Alcuni li voglio perché li ho sempre amati, come Jeanne Moreau, che appartiene alla mia libido, o come Mastroianni. Bruno Ganz è nella mia libido cinematografica, rappresenta il cinema di Wenders. Per me sono una categoria universale. Come non distinguo tra film europei o americani, ma solo tra buoni e cattivi film, non esistono attori stranieri. Harvey Keitel è arrivato sul set con 42 valigie e il Metodo all’americana. Alla fine del film se l’era dimenticato e ora mi chiama, vuole lavorare ancora insieme. Con Bruno all’inizio c’è stato qualche problema, io meridionale, lui svizzero. Poi abbiamo scoperto l’amore comune per la poesia.

Com’è nato il suo amore per l’Italia?
Come tutti gli amori, senza una ragione. Io sono greco, ho passato i miei anni migliori a Parigi e sento una fascinazione per l’Italia, è il secondo paese al mondo in cui mi sento a casa. C’entra il mio rapporto con Tonino, quando vado a Pennabilli sto bene. Con lui recupero tutta l’allegria che ho nella vita, ma che non so mettere nel cinema, per cui non farò mai una commedia, non ne sarei capace. E pensare che i miei film preferiti sono i musical americani degli anni d’oro.
Maria Pia Fusco, Repubblica, maggio 1998


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Critica (4):
Theo Angelopoulos
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