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Et in terra pax


Regia:Botrugno Matteo, Coluccini Daniele

Cast e credits:
Soggetto: Matteo Botrugno; sceneggiatura: Matteo Botrugno, Daniele Coluccini, Andrea Esposito; fotografia: Davide Manca; montaggio: Mario Marrone; scenografia: Laura Boni, Irene Iaccio; costumi: Irene Amantini, Chiara Baglioni, Pierluigi Porfirio; interpreti: Maurizio Tesei (Marco), Ughetta D’Onorascenzo (Sonia), Michele Botrugno (Faustino), Fabio Gomiero (Federico), Germano Gentile (Massimo “Nigger”), Simone Crisari (Glauco), Riccardo Flammini (Mauro), Paolo Perinelli (Sergio), Paola Marchetti (Nonna Sonia), Alessandra Sani (Sabrina), Sandra Conti (Roberta); produzione: Kimerafilm e Settembrini Film; distribuzione: Cinecittà Luce (2011); origine: Italia, 2010; durata: 89’.

Trama:Sullo sfondo di un’estrema periferia romana si sviluppano tre storie prima parallele ma al contempo legate dal filo rosso della droga e della criminalità. Marco cerca di rifarsi una vita dopo aver speso cinque anni in carcere per spaccio di stupefacenti. Tuttavia, a causa dell’abbandonato della sua famiglia, si lascia convincere dai suoi ex compari, Glauco e Mauro, a riprendere il traffico di droga. Dalla panchina di un piccolo parco, luogo della sua attività, Marco ha la possibilità di osservare le vite degli altri ma anche di riflettere su se stesso. Sonia è una studentessa universitaria che per mantenersi agli studi lavora nella bisca di Sergio. Il suo tentativo di rendersi indipendente economicamente viene però reso inutile dalla dura realtà che la circonda. In cerca di comprensione e di amicizia, Sonia instaurerà un rapporto più intimo con Sergio e Marco. Faustino, Massimo e Federico sono tre amici diversi tra loro ma legati in un modo così forte che li aiuta ad essere apparentemente invulnerabili. Tutti e tre si troveranno coinvolti in una serie di eventi collegati che metteranno a dura prova la loro amicizia e le loro esistenze. Tutti i vari protagonisti si incroceranno tra loro ma l’incontro sfocerà in una scia di fuoco, sangue e violenza.

Critica (1):La periferia capitolina come sfondo di tre storie legate fra di loro dal filo rosso del disagio presente nelle periferie metropolitane. Soprattutto se lo scenario è quello del Serpentone di Corviale, icona della solitudine contemporanea che si consuma in un palazzo lungo un chilometro su una delle più periferiche colline romane.
A raccontare questa realtà è il film Et in terra pax di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, amici fin da bambini, già autori di cortometraggi e videoclip musicali, che raccontano (in chiave pasoliniana) la violenza del branco e l’isolamento di una vita passata nella Terra del nulla. La pellicola, prodotta da Arcopinto e Isola con un low budget di 100 mila euro, sarà nelle sale da venerdì distribuita da Cinecittà Luce, dopo essere stata presentata alle Giornate degli Autori alla scorsa Mostra di Venezia, con un titolo che si rifà alla musica sacra del Gloria di Vivaldi.
«Pasolini dovrebbe essere fonte di ispirazione per chiunque si avvicini al cinema e all’arte in generale – ha detto Botrugno – Questo non è un film su Corviale, le periferie sono tutte simili. Quello che volevamo raccontare è soprattutto la solitudine esistenziale. Ascoltavo la musica di “Et in terra pax” mentre scrivevo questa storia a cui non sapevo che titolo dare. Alla fine, con Coluccini abbiamo deciso di citare questo titolo come una sorta di provocazione. In Accattone di Pasolini c’è la “Passione secondo Matteo” di Bach. E così, anche noi abbiamo scelto la musica sacra che ha un ruolo fondamentale nel racconto. Abbiamo voluto mescolare i rumori della periferia con brani classici, per poi costruire tante scene sulle musiche e lavorare molto anche sul silenzio».
Originari dell’Alberone, quartiere romano nato ai primi del Novecento, i registi hanno sottolineato che Roma «qui, rappresenta qualsiasi città del mondo, anche se si vede Corviale e qualche scena è girata in Prati. Corviale ci serviva perché era un posto forte scenograficamente. Abbiamo fatto una ricerca a Tor Bella Monaca, ma è più dispersiva. Mentre questa periferia di Corviale somiglia a tante altre, come ci hanno confermato ai Festival internazionali. Quello che accade nel film (spaccio di droga, risse, fino allo stupro di una ragazza) sono fatti di cronaca che si leggono su qualsiasi giornale metropolitano. Alla fine, c’è chi si rialza, guarda fuori dalla finestra, ma la speranza è poca».
La borgata romana è quindi teatro di vicende di sopravvivenza e contraddizioni, dove vengono spesso espressi rabbiosi istinti e volontà di riscatto sociale.
«Il Serpentone del quartiere Nuovo Corviale ci è sembrato il luogo più adatto per raccontare un microcosmo di destini ed esistenze intrecciate tra loro – hanno aggiunto i registi – L’immenso e isolato palazzo che fa da sfondo alla storia è un’ombra che opprime e che allo stesso tempo protegge, logora e crea nuovi fermenti vitali. È un’isola, un quartiere, un’intera città. È la metafora stessa della vita di ogni individuo. La ricerca di un altrove indefinibile è al centro del nostro film. Ogni sacrificio, sacro o profano, utile o sterile, è una disperata affermazione della propria esistenza».
Intanto a Corviale i residenti credono più alla fine del mondo nel 2012 che all’abbattimento del Serpentone. Ma nel frattempo, per convivere con l’anaconda di cemento, c’è chi ha adottato un manuale di sopravvivenza molto semplice: «Basta avere i paraocchi e non guardarsi intorno, una volta chiusa la porta di casa va tutto bene».
(Dina D’Isa, Il Tempo, 25/5/2011)

Critica (2):In questi casi generalmente si dice: un felice esordio, una sorpresa, un nome da tenere d’occhio. Ma stavolta non sono solo formule: Et in terra pax di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini è davvero il piccolo caso [...] Intanto per l’aspetto produttivo del tutto autarchico – forza lavoro in cambio della condivisione degli utili, più una società nata ad hoc e il supporto finanziario di Gianluca Arcopinto –, ma soprattutto per il sue sguardo “sensibile” sulla periferia romana, avvicinata senza “pregiudizi” o tanto meno intenti “sociologici”. «In certi luoghi – raccontano i due autori neanche trentenni – ci si va come se si andasse allo zoo. Ecco, noi siamo andati lì per incontrare le persone e non le “bestie”». Lì, in questo caso, è il serpentone di Corviale, simbolo e sinonimo di anni di alienazione e violenza urbana. E lì vive Marco, un ex detenuto costretto a tornare a spacciare coca su una panchina. O anche un terzetto di adolescenti di quelli che si consumano tra noia, droga, ancora noia e bevute. E il nulla, lo scorrere del tempo sempre uguale sono l’unico palinsesto delle loro giornate. Ma c’è anche Sonia che, invece lavora e fa l’università, cercando di dare una chance al suo futuro. Quando i loro destini si incroceranno, però, sarà la violenza ad esplodere, con tanto di stupro del branco e finale tragico. Senza mai incappare nella retorica della periferia, grazie anche ad un linguaggio duro ma il più verosimile allo slang romano, Et in terra pax ci introduce nella solitudine e nell’isolamento dei personaggi, offrendocene il loro lato “umano e disumano”.
(Gabriella Gallozzi, L’Unità, 7/9/2010)

Critica (3):

Critica (4):
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