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Essere e avere - Être et avoir


Regia:Philibert Nicolas

Cast e credits:
Fotografia
: Katell Djian, Laurent Didier, Christian Guy; montaggio: Nicolas Philibert; interpreti: Georges Lopez (il maestro), Alizè, Axel, Guillaume, Jessie, Johan, Johann, Jonathan, Julien, Laura, Létitia, Marie-Elisabeth, Nathalie, Olivier (gli alunni); produzione: Maïa Films, Arte France Cinéma, Les Films d’Ici, Centre National de Documentation; distribuzione: Bim; origine: Francia, 2002; durata: 104’.

Trama:Il film, che si potrebbe definire documentario, riprende un anno di vita scolastica nell'unica aula di una scuola elementare della campagna francese, nel Massiccio centrale francese, (Saint Etienne sur Usson). Protagonisti 13 ragazzi di età differente, dai 4 ai 13 anni, riuniti intorno alla figura di un insegnante in procinto di andare in pensione.

Critica (1):Nevica e soffia il vento. Nella bufera, due uomini e qualche cane, con gesti, fischi, urla, guidano una mandria dal pascolo verso la stalla. Subito dopo siamo nel caldo confortevole di un’aula scolastica, ancora vuota di presenze umane. Da dietro un mobile spunta improvvisamente il muso antico di una tartaruga, che a passi lenti e microscopici avanza sul pavimento. Quasi nello stesso momento un altro animale della stessa specie percorre un pezzo di cammino. Di fronte alle tartarughe, inquadrato secondo un piano ravvicinato che sembra tanto una soggettiva, sta un mappamondo. Il tempo di una frazione di secondo e Etre et avoir, l’ultimo film di Nicolas Philibert prende forma concreta con l’ingresso in scena dei suoi protagonisti, un maturo insegnante e i suoi giovani allievi. Ma l’inizio del film è sintomatico delle intenzioni del suo autore. Da una parte presentare il teatro dell’azione – il fuori, condizionato dalle difficoltà ambientali; il dentro, dove con lentezza e tenacia si può conoscere il mondo – dall’altra dettare le regole del gioco – quelle di una macchina da presa che osserverà tutto e dal tutto estrarrà le immagini che servono a guidare il discorso: non secondo un progetto preconcetto, ma secondo quello che si è venuto formando proprio attraverso l’osservazione.
(...) D’altronde è stato sempre questo il procedimento di Philibert, soprattutto da La ville Louvre in poi: affrontare un universo circoscritto, un po’ misterioso e marginale, per scoprire al suo interno le regole della convivenza, del rispetto, della comunicazione e trasmissione del sapere. Un procedimento che spesso arriva, nei film del regista francese, al suo esito più bello ed emozionante: cogliere l’illuminazione della coscienza nel momento stesso in cui essa si manifesta.
Qui – un po’ come avveniva ne Il paese dei sordi e in La moindre des choses l’esperienza è quanto mai “commovente” – piena di una complicità di sorriso e di pianto – perché il racconto di Philibert si muove nel territorio che formerà l’uomo cogliendone la tenacia e la fragilità, la dolcezza e la forza, l’incertezza del futuro e il dolore del presente. (...) Nella primavera del 2000 Philibert ha in mente un progetto riguardante il mondo rurale. Nel corso di una serie di sopralluoghi e colloqui con famiglie contadine, prende invece piede nella sua testa l’idea di girare un film sul microcosmo di una scuola di villaggio, le cosiddette “classes uniques”, nelle quali un solo maestro deve sopperire al sapere di allievi di differenti età, dai 4 ai 12 anni. (...) Philibert individua prima una regione di media montagna – il Massif Central, dal clima rude, dai paesaggi magnifici – poi, per cinque mesi passa in rassegna un centinaio di piccole scuole, senza riuscire a trovare veramente quella che ha in testa: «Una classe con un numero di allievi abbastanza ridotto (fra i dieci e i dodici), in maniera che ciascuno di loro possa diventare un “personaggio”, disposti secondo un ventaglio di età il più ampio possibile e guidati da un maestro dotato di un certo peso».
Alla fine opta per la scuola di un villaggio del Puy-de-Dôme, Saint-Etienne sur Usson, sedotto dalla personalità dell’insegnante – un uomo dai metodi antichi, autoritario e gentile allo stesso tempo, ai limiti della pensione – e da quella dei suoi studenti. Installatosi sul posto, convinti il maestro e le famiglie dei bambini, Philibert ci resta sei mesi, nel corso dei quali accumula 60 ore di materiale filmato. Durante le riprese egli adotta il metodo dello scambio alla pari. Prima permette ai bambini di capire quale sarà il lavoro della troupe e poi chiede a loro di mostrare il loro. Pur essendo sempre presente, la macchina da presa resta il più discreta possibile, mantenendo quella distanza che permetterà al film di prendere forma. Un risultato che può dirsi acquisito dopo sei mesi di montaggio, durante il quale Philibert sceglie cosa mostrare non in funzione della bella immagine, della scena riuscita o dell’aneddoto simpatico, ma in direzione di una linearità di racconto che ponga l’accento sulla formazione degli individui, sul rapporto con la legge – l’autorità del maestro – sul costituirsi di quello che potremmo definire un patto civile, di rispetto e di solidarietà; secondo le due coordinate dell’essere e dell’avere, che non sono solo degli ausiliari della comunicazione verbale, ma anche le stampelle su cui si basa la vita.
Non sorprenderà allora sapere che Nicolas Philibert è stato uno degli artefici del sostegno organizzato ai sans-papier nel corso delle inique misure repressive decise dal governo francese nel 1997. La sua coscienza vigile si trasmette a Etre et avoir come un’anima insufflata dal creatore alla creatura. Il suo mentore è il maestro Lopez – un ragionatore tranquillo, dalla voce dolce e profonda, che non trascende mai la sua autorità. E gli esseri nei quali il cinema letteralmente “si scioglie” sono i piccoli protagonisti Alizé, Jojo, Marie, Jessie, Létitia, Johann, Axel, Laura, Guillaume, Jonathan, Olivier, Julien, Nathalie – che dividono la loro vita collettiva con la difficoltà del lavoro nei campi, che ridono e piangono, che sperano e soffrono. A noi, che li guardiamo vivere sullo schermo, ricordano i bambini che siamo stati. E l’uomo che vorremmo essere.
Luciano Barisone, Cineforum n. 416, 7/2002

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Nicolas Philibert
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