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Anima persa


Regia:Risi Dino

Cast e credits:
Soggetto: Giovanni Arpino; sceneggiatura: Bernardino Zapponi, Dino Risi; fotografia: Tonino Delli Colli; musiche: Francis Lai; montaggio: Alberto Gallitti; scenografia: Luciano Ricceri; costumi: Luciano Ricceri; interpreti: Vittorio Gassman (Fabio Stolz), Catherine Deneuve (Elisa Stolz), Danilo Mattei (Tino), Anicée Alvina (Lucia, la modella), Ester Carloni (Annetta, la domestica), Gino Cavalieri (Santini, maestro di pittura), Michele Capnist (Il duca), Aristide Caporale (anziano nella bisca); produzione: Pio Angeletti e Adriano De Micheli per Dean Film (Roma), Fox Production (Parigi; distribuzione: Cineteca Nazionale; origine: Italia-Francia, 1976; durata: 100’.

Trama:Il diciannovenne Tino, aspirante pittore, è ospite a Venezia dello zio Fabio Stolz - altero ingegnere all'azienda del gas, fiero della propria origine absburgica - e di sua moglie Elisa, bionda e malaticcia signora, sottomessa in tutto al marito. Provenienti dalla soffitta dell'antico palazzo in cui vivono, Tino ode, una sera, rumori inspiegabili: la loro causa gliela rivela l'anziana domestica, e gliela confermano, riluttanti, gli zii: lassù, segregato fra i suoi vecchi strumenti da entomologo, vive il fratello demente di Fabio, impazzito, gli dice la zia, per aver provocato la morte della nipotina Beba, decenne figlia di primo letto di Elisa, della quale si era innamorato. A questo proposito, però, le versioni sono contrastanti: secondo Fabio, sarebbe stata Elisa a far morire la figlia di polmonite non curata in tempo. Ma dov'è la tomba di Beba? Al cimitero non ve n'è traccia. Sempre più incuriosito, Tino scopre un'altra menzogna: suo zio non lavora, ma passa le giornate con gli amici, dilapidando al gioco il patrimonio di Elisa. Finalmente, trovata aperta la porta della soffitta, Tino ha la spiegazione del mistero: una spiegazione sconvolgente, che lo indurrà a lasciare per sempre Venezia.

Critica (1):(...) Profumo di donna testimonia che vi può essere una catastrofe maggiore della morte. Anima persa lo ribadisce e lo dimostra. La struttura narrativa di quest'ultimo film è simile a un incubo o alla proiezione di una paura inconscia: inizia di notte e si conclude all'alba con la ripetizione della sequenza in cui il giovane Tino scivola in motoscafo lungo i silenti canali di una Venezia putrescente e misteriosa; e si sviluppa sullo sfondo della scenografia decadente e inquietante di un palazzo, dove le stanze formano un intricato labirinto e l'apertura di ogni porta immette in un nuovo spazio psicologico e morale. All'interno di questa atmosfera onirica, Risi procede - però - a ritagliare, portandolo in primo piano, il personaggio di Fabio, che, entrato in scena come il protagonista di un film dell'orrore (appare improvvisamente accanto al letto del nipote addormentato), coagula ben presto intorno a sé tutta l'attenzione. Fabio appare subito come un prolungamento nel tempo e una rarefazione nello spazio del capitano Fausto (di Profumo di donna, ndr): ritroviamo in lui la stessa rabbiosa disperazione nei confronti del mondo, con l'aggiunta drammatica del lacerante dualismo tra il ripiegamento verso il passato (la ritualità, l'ordine e la cultura classica) e una biologica foga autodistruttrice, che diventa ansia di cogliere l'essenza della vita attraverso le sue fuggevoli manifestazioni (le urla agghiaccianti del « professore » e i suoi film sugli insetti, ma anche il piacere di far mangiare cannoli e cioccolatini alla commessa della pasticceria o lo sperperare il denaro della moglie al tavolo da gioco). E lo stesso suo rapporto con la moglie ripropone – ingigantiti dal tempo e dalla ambigua connivenza nell'apparente pazzia – i toni ringhiosi e spietati assunti da Fausto nei confronti di Sara. In ciò è una conferma che il finale di Profumo di donna non poteva essere inteso come un happy-end e non lasciava spazio a speranze di rigenerazione; ma è anche un portare fino alle estreme conseguenze il processo di ingrandimento della crisi esistenziale del proprio protagonista. Quasi come se, dopo aver osservato per anni i movimenti e le interazioni di tante cellule viventi, il biologo Risi avesse avvertito il bisogno di analizzarne la struttura attraverso la lente di un microscopio e avesse scoperto – con sgomento – un mondo le cui contraddizioni non aprono la via ad alcuna sintesi possibile. Come la scelta del suicidio, anche la fuga dal quotidiano o il rinchiudersi nell'edonismo della pazzia non possono essere una soluzione: il dottor Jeckyll e mister Hyde sono votati allo stesso fallimento. Intorno a questi temi, Risi costruisce lo stupendo ritratto di un personaggio che, oltre a collocarsi come punto d'arrivo di un discorso in prima persona, si eleva a metafora della crisi di identità dell'uomo contemporaneo: in questo senso risulta particolarmente significativo il fatto che - per la prima volta nella sua carriera - Risi abbia avvertito l'esigenza di ambientare il proprio film in un'area geografica e culturale mitteleuropea. Il distacco dalla «commedia all'italiana» è ormai completo. Anima persa è, sia per lo stile che per la problematica proposta, un film di respiro internazionale: la contingenza storica e ambientale tende a sparire o viene relegata nella fragile schematicità funzionale di poche figure di contorno. Al suo affascinante rigore linguistico, fa riscontro il limite di una certa asetticità, denunciata soprattutto dallo scoperto intellettualismo di una sceneggiatura troppo « chiusa ». Per ora, comunque, il manierismo è solo sfiorato, senza mai diventare ingombrante, in quanto Risi lo riscatta a ogni momento con la partecipazione morale alla tragedia del protagonista, che trova un inquietante prolungamento nella splendida ambiguità del personaggio della Deneuve.
Nelle mutate condizioni storiche e produttive, Risi ricompone una difficile armonia stilistica, piegandosi nella riflessione sul proprio mondo poetico, di cui rende espliciti i contenuti nella sequenza in cui Fabio riferisce le teorie elaborate dal suo alter ego: «Diceva che Dio non va cercato al di sopra, ma al di sotto di noi. Riteneva più probabile trovare tracce di Dio negli insetti. Perché alzare lo sguardo quando si pensa a Dio? No. Abbassiamolo, invece, a indagare le forme di vita più misteriose. Dio è una formica. Dio è un'ape. Una volta staccò il crocefisso che teneva sempre a capo del letto e vi attaccò sopra l'ingrandimento di uno scorpione.»
I film seguenti ci diranno se Anima persa è l'atto di nascita di una nuova fase del cinema di Risi o è il momento della sua chiusura intorno ad alcuni temi ossessivi; se egli possiede ancora i guizzi inventivi del metteur en scène o si avvia a diventare un auteur alle prese con i propri fantasmi.
Aldo Viganò, Dino Risi, Moizzi Editore, 1977

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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