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Killer (The) - Diexue Shuang Xiong


Regia:Woo John

Cast e credits:
Sceneggiatura: John Woo; fotografia: Zong Zing-Hang, Peter Bao; scenografia: Dai Zhenquing; montaggio: Fan Kung-Ming; musica: Lowell Low; interpreti: Yun-Fat Chow (Ah Jong), Danny Lee (Isp. Insp. Li Ying / Little Eagle), Sally Yeh (Jennie), Chu Kong (Fung Sei), Kennteh Tsang (serg. Tsang Yeh); produzione: Sui Hard (Film Zordshop) per Golden Princess/Magnum; origine: Hong Kong, 1989; durata: 111'.

Trama:Dopo aver, per errore, accecato la donna che ama, un famoso sicario decide di lasciare la sua professione per dedicarsi completamente a lei. Prima di smettere però, accetta l'ultimo incarico, non sapendo che si tratta di una trappola..

Critica (1):Sul limitare degli anni '80 circolava una mina vagante nell'immaginario cinematografico occidentale: Diexue Shuang Xiong/The Killer di John Woo. Consacrato dal festival di Toronto, The Killer inizia la sua marcia trionfale grazie al tam-tam orale (e allo scambio di copie video piratate alla buona) di una conventicola di ferventi neofiti il cui credo si allargherà a macchia d'olio nell'arco di un paio d'anni. Di questo culto Cattolica offre un assaggio nel 1992, omaggiando John Zoo con una piccola personale (quattro film, escludendo Hard Boiled che era in concorso). È stato proprio l'effetto John Woo a concentrare l'attenzione sul nuovo cinema di Hong Kong, anche se festival come Cinema Giovani di Torino e Bergamo Film Meeting (personale Sui Hard) lavoravano già da alcuni anni in questa direzione. Ma evidentemente mancava il film (il regista) che si potesse identificare tout-court con un'intera situazione e che potesse fungere da punto d'intersezione cinefilo tra oriente e occidente. John Woo in questo senso funzionava perfettamente. La sua rilettura del noir francese, innestata sull'iperrealismo di matrice scorsese-schraderiana, si presentava (erroneamente) all'immaginario cinefilo degli anni '80 (cinema dei frammenti, della citazione, mètacinema...) come una fantasmagorica esplosione proprio di quella autoreferenzialità che aveva nutrito infiniti dibattiti e discussioni.
Questo divertente equivoco che negli Usa, e parzialmente in Inghilterra, induceva critici e cinéphiles a guardare con sguardo camp alle barocche architetture gangsteriche di John Woo, impediva di notare non solo la continuità stilistica e ideologica del suo cinema con quello del passato di Hong Kong (Chang Cheh in primo luogo), ma soprattutto decontestualizzava impropriamente i film dal loro mondo, inserendoli in una prospettiva (quasi) esclusivamente occidentale. Il problema, quindi, non è tanto un'eventuale incomprensione di John Woo e dei suoi film (dettata soprattutto dall'entusiasmo che i film così generosamente incoraggiavano), ma l'aver posto in primo piano il piacere "decostruzionista" della citazione, del riconoscimento del "topos" narrativo rispetto alla centralità che nel cinema di Woo manifestamente ricoprono i valori e i sentimenti. Non aver compreso la natura "arcaica" (medievale ...) del cinema di Woo è stato l'elemento che ha permesso di fruire i suoi film come meri giochi metalinguistici, laddove il regista usa la riconoscibilità delle strutture noir occidentali come veicoli per traghettare la sua personalissima visione del mondo e che con ogni evidenza è il prolungamento e la rielaborazione di quella del suo mentore Chang Cheh. In questo senso, dunque, John Woo rappresenta una clamorosa inversione di tendenza rispetto al cinema degli anni '80: in maniera clamorosamente "inattuale" un film come The Killer (ma che dire di A Better Tomorrow?...) torna a porre la questione della centralità dei valori rispetto al cinema stesso, che smette in questo modo dì essere una macchina meramente autorefenziale: anzi, l' autorefenzialità diventa il perno su cui fondare il carattere trascendente il cinema dei valori nei quali si ancora la visione del mondo e degli uomini di John Woo.
Quello che conquista di Woo - rispetto, per esempio, ad un qualsiasi film della factory di Joel Silver - è il suo sofferto massimalismo, il suo rigore morale, la sua ascetica devozione nei confronti dei postulati di un codice d'onore la cui immutabilità è la sua prima (e unica) garanzia di verità. Evidentemente John Zoo non è un cineasta politicamente corretto, qualsiasi cosa ciò voglia dire. Molto semplicemente, un film come The Killer ci ricorda che si può ancora parlare degli uomini senza per questo (ma chi l'ha mai detto?) dover rinunciare allo stile e al piacere del testo (e della visione). Non solo: The Killer seduce irrimediabilmente perché innerva le sue traiettorie morali nello traiettorie dello sguardo. Per quanto l'aforisma di Godard sulla morale e sui carrelli possa essere stato citato impropriamente (dunque usurato), riteniamo che nel caso di John Woo questo trovi una sua sconcertante verità, che finisce per proiettare su di esso una luce stranamente inquietante. Se dunque ci siamo dilungati su Woo è perché inevitabilmente chiunque si avvicini al cinema di Hong Kong risulta essere stato folgorato sulla strada di The Killer. Anche se, inevitabilmente, si finisce sempre per scoprire che Woo, in qualche modo, è un'eccezione grandissima, ma pur sempre un'eccezione (perlomeno rispetto all'idea approssimativa che si potrebbe avere di lui dopo aver visto solo una manciata di film).
Giona A. Nazzaro, Cineforum n. 352, marzo 1996

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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