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Qualcuno da amare - Somebody to Love


Regia:Rockwell Alexandre

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura
: Sergej Bodrov, Alexandre Rockwell; fotografia: Robert Yeoman; musica: Mader, Tito Larriva, Charlie Midnight (superv.); montaggio: Elena Maganini; scenografia: J.- Rae Fox; costumi: Alexandra Welker; suono: Pawel Wdowzak; effetti speciali: Steve Patino; interpreti: Rosie Perez (Mercedes), Harvey Keitel (Harry Harrelson), Anthony Quinn (Emilio), Michael DeLorenzo (Ernesto), Steve Buscemi (Mickey), Samuel Fuller (Sam Silverman), Stanley Tucci (George), Quentin Tarantino (Barman), Steve Randazzo (Nick); produzione: Lila Cazès e Sergej Bodrov, per Initial Productions; distribuzione: Lucky Red; origine: Francia - USA, 1994; durata: 94’.

Trama:Mercedes, che ambirebbe a diventare attrice, tira avanti facendo la ballerina in uno scalcinato club. Sta con Henry, che è stato una star televisiva, ma che è sul viale del tramonto. I due si sposerebbero se la moglie di Henry concedesse il divorzio, ma la donna vuole, per questo, diecimila dollari. Allora Ernesto, un giovane messicano che si è innamorato di Mercedes, accetta di diventare killer su commissione.

Critica (1):“Chi si sposta in questa città al volante di un auto non mi interessa, preferisco chi se ne va a piedi”.
“Chiunque vive a Los Angeles sogna ad occhi aperti, non ha i piedi per terra”.
Queste due affermazioni di Alexandre Rockwell, nella loro evidente e paradossale ambiguità, suggeriscono con efficacia le difficoltà di lettura di un film che tenta spesso di librarsi in volo ma che dimostra, con altrettanta ostinazione, notevoli difficoltà a volersi staccare dal suolo. Non che l’attenzione per le basse quote costituisca di per sé un limite, visto che bassi­fondi diseredati hanno spesso offerto al cinema notevoli possibi­lità espressive, è un problema, semmai, di qualità dello spostamento, di adeguatezza dello spazio e di rapporto con il terreno oltre che di confusione dei ruoli. Nella fatica dell’incedere, Mercedes non sa se affidarsi alla sicurezza del proprio passo, al ritmo della danza, piuttosto che all’esperienza del volo; meglio, crede di desiderare solo di perdere contatto con un terreno tanto ostile e si affanna a cercare di sollevarsi invece di preoccuparsi di imparare a giudicare gli spazi del territorio in cui improvvisa i suoi passi e su cui danza con straordinaria maestria. Ernesto, al contrario, conosce la qualità del terreno su cui poggia i piedi meglio di chiunque altro visto che ci scava le fosse per i cadaveri; poi incontra Mercedes che vorrebbe farlo danzare. Ma lui le pesta i piedi; figuriamoci, pensa lei, se sarebbe in grado di farla volare. Harry Harrelson, invece, è riuscito a tenersi a mezz’aria in qualche tempo, ecco perché Rosie Perez non vuole mollarlo. Spera di riuscire a strappargli un alito di vento grazie al quale riuscire ad elevare lo sguardo. Eppure il primo a librarsi da terra è proprio Ernesto, sulla spiaggia di Venice Beach, ma lei non se ne accorge neppure e qui commette un errore fondamentale, quello che succede quando hai per le mani un buon caratterista e gli preferisci, che so, un vecchio attore di nome fiaccato dagli anni. Si chiama miscasting, ed è il cruccio di tutti i principali personaggi di questo film: ovvero il terrore di essere nel posto sbagliato ad interpretare un personaggio che non gli appartiene. Il miscasting, per inciso, è anche il problema che perseguita Stanley Tucci, che in questo film interpreta il ruolo del viscido George con bravura superlativa; è uno in grado di togliere dal fango qualsiasi film (Coppia d’azione, ad esempio) ma che finisce sempre in ruoli di secondo piano quando, invece, dovrebbe essere la star; colpa della sua faccia, senza dubbio. La confusione delle parti, e l’attribuzione sbagliata dei ruoli, è una questio­ne che affliggeva anche il povero Steve Buscemi in In the Soup, (tanto che qui finisce a fare il travestito, ma è un caso) nel quale il povero Alfonso Rollo soffriva dello stesso problema di Mercedes. Anche lei è una che fatica a comprendere le regole di un mondo che le antepone delle Barbie statuarie anche nei ruoli che prevedono delle ispano-americane: un caso evidente di misca­sting. C’è poi da rilevare un aspetto “topologico” suggerito da Rockwell quando insiste a lungo su di un piano-sequenza particolarmente bello e significativo: quello che ci porta a spasso nelle barac­che dove vive Ernesto, in mezzo ad una quantità di corpi impres­sionante. La qualità dello spazio in cui si muovono gli attori di questo melodramma la dice lunga sulla loro condizione; a comin­ciare proprio da quella paradossale di Ernesto, che vive nel deserto, lo “spazio” per antonomasia, ed è costretto a condivide­re una stamberga con decine di altre persone. È evidente che l’economia dei conflitti sociali è prima di tutto un’economia dei luoghi e delle distanze che viene giù dritta dalla possibilità offerta dal denaro di allargare il proprio territorio. E quello per cui lottano i personaggi di Rockwell è proprio la conquista di nuovi spazi; per abbozzare nuovi passi di danza o per avere sufficiente rincorsa per tentare un decollo. Non pensate che, a questo punto, non ci si sia resi conto che il miscasting che affligge le vite di Mercedes, Harry ed Ernesto rischia di trasformarsi, per quanto ci riguarda, in un misunder-standing o, peggio ancora, in un miswriting; solo che conservare una gerarchia delle idee quando si scrive di questi film è estre­mamente complesso, perché le cose di cui riferire sono sempre troppe e tutte, in apparenza, troppo pressanti nei confronti della sana oggettività che dovrebbe guidarci. D’altra parte, ed è Rockwell a suggerirlo, i registi indipendenti sono come dei gangster perché vivono ai margini del sistema e devono sempre fare a pugni per guadagnarsi un po’ di spazio; ecco perché i loro film suscitano una prosa affollata, affannata ed anfetaminica.
Ultime due annotazioni. La prima riguarda Rosie Perez che magari è alta un metro e quaranta ma non meritava di essere doppiata con la voce di paperino. La seconda riguarda Rockwell, il quale ama spassionatamente Fellini e parla de La strada come del suo film preferito, ed in più è anche amico di Nanni Moretti; ma per questo, nella scheda, di spazio proprio non ce n’era. E poi l’hanno già scritto tutti gli altri.
Giuseppe Ascione, Segno Cinema n. 70, nov-dic 1994

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Alexandre Rockwell
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