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Regno (Il) - Reino (El)


Regia:Sorogoyen Rodrigo

Cast e credits:
Sceneggiatura: Isabel Peña, Rodrigo Sorogoyen; fotografia: Álex de Pablo; musiche: Olivier Arson - "Nel blu dipinto di blu", musica di Domenico Modugno, testi di Franco Migliacci, Domenico Modugno; montaggio: Alberto del Campo; costumi: Paola Torres; effetti: Free Your Mind; suono: Roberto Fernandez, Alfonso Raposo; interpreti: Antonio De La Torre (Manuel López Vidal), Mónica López (Inés), José María Pou (José Luis Frías), Nacho Fresneda (Paco Castillo), Ana Wagener (Asunción Ceballos), Bárbara Lennie (Amaia Marín), Luis Zahera (Luis Cabrera), Francisco Reyes (Alvarado), María De Nati (Nati), Oscar De La Fuente (Andrés Lima); produzione: Tornasol Film, Trianera Pc Aie, Atresmedia Cine, in collaborazione con Jean Labadie, Anne-Laure Labadie per Le Pacte, Stephane Sorlat per Mondex & Cie, Bowfinger International Pictures; distribuzione: Movies Inspired; origine: Spagna, 2018; durata: 91’.

Trama:Manuel López-Vidal è un vicesegretario regionale prossimo al salto verso la politica nazionale. Con i compagni di partito gestisce un consolidato sistema di potere che mescola corruzione, favoritismi e benefit di lusso. Quando il giro di corruzione viene a galla e cominciano gli interrogatori, Manuel è lasciato solo sia dai capi di Madrid, sia dagli ex amici. Espulso dal "regno", braccato dalla stampa e indicato come principale responsabile dello scandalo, non esita a tentare ogni strada pur di salvare la reputazione e la sua stessa vita.

Critica (1): Dopo aver mostrato con il precedente Che dio ci perdoni di essere un regista dotato per il poliziesco (i ritmi, l’ambiguità, la violenza, il sottotesto politico), Rodrigo Sorogoyen compie con Il regno una scelta importante e rischiosa: raccontare, con le modalità di quel genere in cui per l’appunto si è mosso tanto bene, il mondo della politica. Il mondo occulto della politica. Quello fatto di intrighi, corruzione, privilegi sociali e denaro facile: almeno fino a quando il dispositivo ben oliato funziona, e questo non avviene necessariamente sempre.
Occorreva una storia esemplare nella sua banalità. Una storia che mettesse in scena le costanti di questo mondo: la ricerca instancabile e drogata del potere e il rifiuto di accettare la caduta personale come conseguenza della scoperta delle proprie malversazioni, seguita dalle indagini e da un processo regolare come avviene per tutti i cittadini normali. Ecco quindi Manuel Lopez-Vidal, uomo politico importante a livello regionale e lanciatissimo verso traguardi ben più ambiziosi: viene colto con le mani nel sacco in una faccenda di corruzione e da un giorno all’altro si ritrova abbandonato via via da tutti coloro che, da sempre perfettamente a conoscenza di ciò che avviene nel labirinto degli interessi inconfessabili in cui hanno imparato in fretta a muoversi, cercano soltanto di rimanere a galla lasciandolo annegare da solo. Lui che fino al giorno prima, grazie alla sua prontezza e alla sua abilità spregiudicata, era per gli altri l’ancora di salvezza.
Basandosi su una sceneggiatura abile firmata da lui e da Isabel Peña, Sorogoyen ha trasformato la banalità della vicenda in meccanismo narrativo capace di coinvolgere senza concedere margini a nessuna forma di identificazione. Le focali corte permettono di tenere sotto osservazione, grazie alla profondità di campo, tutto il brulichio di corpi, volti, gesti, oggetti che compongono questa realtà da osservare nei dettagli, in modo impietoso. Il montaggio martellante sia nella prima mezz’ora, quando ancora Lopez-Vidal è il deus ex-machina della situazione, sia per il resto del film ci conduce lungo un percorso da compiere all’ultimo respiro, incalzando il protagonista sempre più stretto nell’angolo e in caduta libera, alla ricerca delle carte con cui trascinare nel disastro tutto il partito che lo ha abbandonato al suo destino. (…)
Adriano Piccardi, cineforum.it, 5/9/2019

Critica (2):Una riflessione sulla corruzione nella politica e nella società spagnola, che il regista di Che Dio ci perdoni gira come un tesissimo thriller sulla deriva di un uomo disperato e abbandonato dal sistema nel quale ha sempre creduto.
Il regno si colloca temporalmente agli albori del sovranismo oggi imperante; o meglio al tramonto dell'era del partitismo che avrebbe portato – in Spagna e in buona parte d'Europa – all'avvento delle spinte populiste e dei partiti-persona. L'era, come si vede in una scena del film, dei primi iPhone usati per documentare ogni aspetto della vita pubblica e privata; l'era della crisi economica e delle speculazioni edilizie; l'era del connubio tra destra e sinistra nella gestione clientelare della politica, come indicato dalla vaghezza sul nome e sul colore politico del partito a cui appartiene il protagonista.
Al centro del film c'è un'idea di potere e di controllo privatistico della cosa pubblica che riguarda l'idea stessa di società. Manuel López-Vidal, detto Manu, è a suo modo un eroe popolare, un uomo che si è fatto da solo arrivando a un passo dalla cima senza terminare gli studi e dopo anni di gavetta. Il rispetto, la ricchezza, l'assenza di scrupoli che condivide con i compagni di partito sono un mezzo e al tempo stesso un fine della sua scalata: nel "regno" di cui fa parte, la corruzione è politica e la politica è corruzione, non esistono altri modo di lavorare.
Roberto Manassero, mymovies.it

Critica (3):

Critica (4):
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