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Dolls - Dolls


Regia:Kitano Takeshi

Cast e credits:
Sceneggiatura:
Takeshi Kitano; fotografia: Katsumi Yanagijima; musica: Joe Hisaishi; costumi: Yohji Yamamoto; montaggio: Takeshi Kitano; interpreti: Miko Kanno (Sawako), Hidetoshi Nishijima (Matsumoto), Tatsuya Mihashi (Hiro, il boss), Chieko Matsubara (la donna de parco), Kyoko Fukuda (Haruna), Tsutomu Tageshige (Nukui; produzione: Bandai Visual, Tokyo FM, TV Tokyo e Office Kitano; distribuzione: Mikado; origine: Giappone, 2002; durata: 113.

Trama:Tre versi e diciassette sillabe racchiudono il candore dell’Haiku. Tre storie che compongono un film fatto di Haiku.Tre storie d'amore infelice si incontrano attraverso le quattro stagioni. Due vagabondi legati da una corda rossa, erano stati una coppia felice; un anziano capo yakuza torna nei giardini dove trent'anni prima era solito pranzare con la fidanzata; uno sfegatato fan di una cantante pop si acceca per incontrarla, sulla spiaggia dove lei, sfigurata, è ferma a fissare il mare.

Critica (1):[...] Rinunciando alle romantiche storie di crimine, yakuza stanchi e violenza (Hana-bi, Brother), il regista giapponese scrive e dirige un’opera molto più impregnata di cultura del suo Paese rispetto alle precedenti e che, per alcuni versi, ricorda Sogni del vecchio maestro Kurosawa (in particolare il primo episodio, quello delle bambole nel giardino). In montaggio alternato, passano sullo schermo tre storie di straordinaria infelicità, ambientate nel presente ma ispirate alle marionette del cinquecentesco teatro Bunraku (una rappresentazione fa da cornice al film). Un giovane e la sua ragazza, che ha tentato il suicidio quando lui l’ha lasciata per un matrimonio d’interesse, errano senza meta guadagnandosi la denominazione di “vagabondi legati”. Un vecchio boss della mala ritrova, solo per un istante, la donna che lo ha atteso tutta la vita. Il fan di una rockstar, ferita in un incidente, sacrifica la vista in nome della fanciulla. Sono tre parabole sulla permanenza dell’amore e su come questo sfida l’impermanenza delle cose del mondo, rappresentate mediante un iperrealismo trasfigurato e stilizzato, dipinte con una tavolozza cromatica che s’ispira ai colori delle quattro stagioni. Gli esseri umani sono marionette, esposte a tutti i colpi del destino, e come marionette Dolls mette in scena personaggi e attori. Senza lasciarsi andare ai soliti stereotipi sul fatalismo del Sol Levante, ciò che colpisce è il modo in cui il regista “orientalizza” il proprio stile rendendolo ancora più arcano e scarno, fino ad attribuire altrettanto significato alle pause che ai (rari) momenti d’azione; una tendenza che i suoi fan conoscono bene ma che qui si estremizza in inquadrature ferme, giocate su variazioni di luminosità e sospensioni del tempo. Dietro le bellezza dei paesaggi e delle inquadrature, si avverte un senso di fine, di morte che la perfezione formale rende ancora più struggente. Se Kitano non è mai stato quel che si dice un ottimista, Dolls è un film dal pessimismo integrale, però come pacificato con se stesso, purificato al fuoco bianco. Che ti lascia nella memoria come una eco prolungata, una specie di arcana nostalgia.
Roberto Nepoti, la Repubblica 2/11/2002

Critica (2):Se Takeshi Kitano non fosse uno dei più grandi registi del cinema contemporaneo, Dolls sarebbe acclamato come un capolavoro. Essendo Takeshi Kitano uno dei più grandi registi viventi, Dolls è considerato solo un buon film d’autore certo importante, ma pesante e noioso. Schizofrenia del cinema e del suo destino. Come scrivevamo da Venezia, [...] con Dolls Kitano scrive la sua teogonia, dà vita compiuta e quadratura teorica a un mondo, quello che ha descritto in tanti e tanti film, da Hana-bi a Sonatine, da Il silenzio sul mare a Brothers, che solo ora si riesce a cogliere nella sua vera essenza e completezza. Che Dolls sia una creazione lo si capisce immediatamente dall’esordio, ouverture poetica e filosofica del film. Le immagini si accendono su di una rappresentazione di marionette Bunraku [...]. Ciascuna marionetta, alta più di un metro, è mossa da tre uomini che in perfetta coordinazione danno vita a questi esseri altrimenti inanimati; una coreografia di corpi vivi che danza la vita di esseri incapaci di un’esistenza autonoma e diretta. Kitano esplicita la premessa filosofica su cui si impernia il film. “I messi per l’inferno” si trasformano in tre coppie di personaggi che parallelamente vivono il loro destino come una condanna senza appello. Due ragazzi con lo sguardo perso nel vuoto percorrono, legati da una corda rossa, i viali di un viaggio che solo loro conoscono. Li chiamano i vagabondilegati. Erano amanti e promessi sposi, poi il mondo, sotto le spoglie della tradizione e del successo, li ha sottratti al loro destino, spogliati del loro amore e condannati alla pazzia. Ora espiano, si muovono come marionette, attraversando le stagioni come macchie di colore, il rosso autunno e il bianco inverno. Un altro amore impossibile aspetta da anni il suo fidanzato; ha la forma rigida di una donna ormai anziana che, fissa come un punto, aspetta da anni su di una panchina nel parco il ritorno del suo amato allora operaio ora yakuza affermato. Lo sguardo vuoto, gli occhi fermi non si volgono neanche il giorno in cui lui torna nostalgico nel parco in cerca della vita che non ha avuto e dell’amore che non amato. Il terzo è cieco. Un ragazzo si è cavato gli occhi dopo l’incidente che ha costretto la sua cantante del cuore al ritiro dalle scene. Lei sfigurata non vuole farsi vedere ma ammette al suo cospetto solo il suo innamorato spasimante cieco. Uomini e donne come marionette. Kitano abdica all’ironia, sempre presente, benché sottile, nei suoi trascorsi, per una visione seria e apocalittica del mondo. Il genere umano è senza destino perché lo ha perso nella sua giovinezza. Non può più scegliere, bensì è scelto dal suo passato, dai suoi errori. [...] Kitano disegna le sue marionette eterodirette in un mondo che loro non sentono e non vedono più bello, accecate come sono dalla mediocrità di vite senza senso.
Marco Zonta, l’Unità

Critica (3):

Critica (4):
Takeshi Kitano
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