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Mancia competente - Trouble In Paradise


Regia:Lubitsch Ernst

Cast e credits:
Soggetto: Laszlo Aladar, dalla commedia "The Honest Finder"; sceneggiatura: Samson Raphaelson, Ernst Lubitsch; fotografia: Victor Milner; musiche: W. Franke Harling; scenografia: Hans Dreier; costumi: Travis Banton; interpreti: Miriam Hopkins (Lily), Kay Francis (Henriette Colet), Herbert Marshall (Gaston Monescu), Charles Ruggles (il Maggiore), Edward Everett (Horton Francois), C. Aubrey Smith (Giron), Robert Greig (Jacques); produzione: E. Lubitsch per Paramount; distribuzione: Lab80; origine: Usa, 1932; durata: 83’.

Trama:Gaston Monescu, un famoso ladro, incontra e s'innamora di Lily Vautier, anch'essa ladra di professione. Per derubare la bella e ricchissima Mariette Colet, Gaston s'introduce nella sua casa e nel suo cuore, rischiando d'innamorarsi davvero e di provocare la gelosia della sua Lily...

Critica (1):In Lubitsch l'alta società è tutta uno sfoggio: dai vestiti che avvolgono i corpi femminili con ricche e abbondanti volute, spessi arricciamenti, stole e bordi di pelliccia, ai drappeggi e cuscini, rasi e ovatte. Sembra di assistere a una variopinta sfilata di moda. Questo milieu deve conservare il suo sfarzo, come a dire che la ricchezza messa in mostra è un puntello senza il quale tutto crollerebbe: il belletto è trasmigrato dall'aristocrazia alla borghesia. Portando con sé, dietro al visibile, un vuoto abissale.
Ciò che conta è come farsi vedere dagli altri. È un problema di recitazione, di fare bene la propria parte: bisogna imparare a fingere, perché solo in questo modo si può partecipare al gioco, si può rispondere alle mosse degli altri giocatori. Fino a barare, perché anche questo fa parte delle regole.
Tronble in Paradise (Mancia competente, 1932) è un film dove il girotondo della galanteria non si arresta mai, nonostante le mutazioni della storia e i presupposti poco edificanti della vicenda. Ma è proprio qui che sta il punto: Gaston ha molte carte da giocare e un unico ruolo da interpretare. Per lui è sufficiente adeguarsi esteriormente al mondo della ricchezza e lo fa in maniera perfetta, recitando la parte del nobile cortese che si inserisce con disinvoltura e soprattutto con cinica padronanza nella sfilata delle ostentazioni. Vi giunge come uno sconosciuto e con i suoi modi discreti ma ammalianti si impadronisce della scena, pur restando in disparte e non lasciandosi coinvolgere dalla "filosofia" dell'ambiente. La sua figura si accorda in maniera esemplare al teatro vivente e ai meccanismi scenici che lo reggono: fingere al punto di sembrare più vero degli altri e padroneggiare al meglio l'intrigo, questi sono gli attrezzi della sua comparsa sul palcoscenico del gran mondo. Creare disordine rispettando le formalità, manifestando controllo ed eleganza nei gesti.
Gaston conduce la danza come un abile burattinaio, forte del suo ruolo di consapevole escluso: la condizione di criminale che partecipa al lusso delle sue vittime gli dà un'audacia provocatoria che precipita gli altri in uno stato confusionale. Chi oserebbe, infatti, affrontare una tale rispettabilità? Chi metterebbe in dubbio uno che si muove con una impeccabilità invidiabile? Una classe può accettare l'illegalità dai suoi componenti quando i fini, come la difesa della ricchezza e l'uso "estetico" del denaro, la tenuta o ancor meglio l'incremento dell'esibizione, siano rispettati. Ma non può permettere che il prodotto interno sia sottratto, esca dal sistema: il furto è un dramma perché impoverisce l'ornamento e mostra la privazione. Il gioiello è la chiave semantica di questo delitto: esso è costruito per essere mostrato e quindi la sua sottrazione prima o poi è notata, c'è sempre uno sguardo che se ne accorge. Il nostro ladro ha tecniche sopraffine: utilizza il sospetto per deviare l'attenzione dall'oggetto vero della sua azione, utilizza la sua capacità di interpretare il personaggio meglio di chi ad esso è stato educato, ma ciò nonostante rimane uno straniero, un generatore di ambiguità. Isolato e padrone, tanto più forte e scomodo per il fatto che Mariette, la donna fatale ed esageratamente ricca, si è innamorata di lui ed è disposta a "tradire" i principi di classe: ella trasforma l'oggetto rubato in dono e così infrange le leggi del suo mondo. Se Gaston cede alla seduzione, è definitivamente perduto: il suo modo d'essere è nell'inganno, nel saper fingere a oltranza, ma soprattutto nel capire quando se ne deve andare e cosa portare via. All'attrazione per Mariette, che lo mette in uno stato di debolezza assolutamente "riprovevole" per uno con la sua carriera, non può arrendersi; ci penserà Lily a riportarlo sulla retta via.
Il mondo della ricchezza è il regno dell'illustrazione, dell'arredo, dell'addobbo, del "tutto al posto giusto", assemblato da un capace scenografo, da un vivace arredatore e da una raffinata modista. È un luogo dove a pochi è consentito di accedere per partecipare alla festa, al ballo, al ricevimento: sono questi i momenti della celebrazione e della consacrazione, durante i quali uomini e donne si sfidano, si oppongono, si attraggono, complottano a suon di costumi, acconciature, lustrini, trucchi, sfarzi, tenute da sera. Si ha un po' la sensazione di assistere, nei film di Lubitsch, a un carnevale che si ripete e che non avrà mai fine, con i suoi balli in maschera e il teatrino delle sregolatezze. (…)
Angelo Signorelli, “Porte e principio di indeterminazione”, in
Ernst Lubitsch, Ed. di Cineforum, 2005

Critica (2):

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