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Ragazza in vetrina (La)


Regia:Emmer Luciano

Cast e credits:
Soggetto: Luciano Emmer, Emanuele Cassuto, Rodolfo Sonego; sceneggiatura: Luciano Emmer, Vinicio Marinucci, Luciano Martino, Pier Paolo Pasolini; fotografia: Otello Martelli, Arturo Zavattini (operatore); musiche: Roman Vlad; montaggio: Jolanda Benvenuti, Emma Le Chanois; scenografia: Alexandre Hinkis; interpreti: Lino Ventura (Federico), Marina Vlady (Else), Magali Noël (Chanel), Bernard Fresson (Vincenzo), Antonio Badas, Salvatore Lombardo, Giulio Mancini, Salvatore Tesoriero; produzione: Emanuele Cassuto per Nepi Film (Roma)-Zodiaque Film (Parigi); distribuzione: Cineteca Nazionale; origine: Italia, 1960; durata: 92’.

Trama:Insieme con un gruppetto di italiani, Vincenzo emigra in Olanda per lavorare in una miniera di carbone. La sua prima esperienza è drammatica: imprigionato nelle viscere della terra da un crollo improvviso, viene tratto in salvo quando ogni speranza sembra svanita. Deciso a ritornarsene a casa, Vincenzo accetta di passare il suo ultimo fine settimana in Olanda assieme a Federico, un altro italiano che lavora in miniera. Ad Amsterdam Federico è di casa nella 'strada delle vetrine', dove le prostitute si offrono agli occhi dei passanti. Esortato dall'amico, anche Vincenzo comincia a frequentare l'ambiente. Lo colpisce la bellezza di Else, e a poco a poco tra i due nasce un tenero sentimento, forse preludio del vero amore. Else per la prima volta si sente rispettata e Vincenzo da canto suo è incerto e combattuto tra l'amore per la giovane e il desiderio di tornare in Italia.

Critica (1):Il ritorno dei piú vivi e preparati fra i nostri uomini di cinema a temi di analisi storica e sociale di interesse nazionale e il sorgere intorno a loro di una non folta ma significativa e attenta schiera di giovani, animati dagli stessi intenti e propositi, non ha potuto non influire sulla produzione di un regista « evasivo », considerato minore, anzi minimo – e non sempre a ragione – come Luciano Emmer. In tale clima, egli – grazie anche a una discreta sceneggiatura e alla suggestiva ambientazione prescelta (non parleremo né di tema né di probema, in quanto il regista ha escluso a priori, in dichiarazioni pubbliche, preoccupazioni sociali o sindacali) – ha saputo cosí raggiungere il risultato piú completo e interessante della sua ormai ventennale attività. (E ci riferiamo qui, ovviamente, all'edizione integrale del film: opera perseguitata quante altre mai dall’autorità amministrativa e presentata, dopo una lunga permanenza in censura, in un’ edizione dove i tagli e i raffazzonamenti non si contano, incidendo in modo preoccupante sui risultati espressivi, sulla continuità del trattamento e sulla stessa tematica).
La ragazza in vetrina è una storia d'amore, d'«amore puro» e quasi astratto, ma calata in un « milieu » preciso, anche se – dati i suaccennati presupposti – non definito o definibile. È il rapporto sentimentale che si stabilisce e si sviluppa fra un giovane emigrante, Vincenzo, appena giunto nella miniera olandese e alla sua prima discesa nei pozzi già reduce dall'atroce esperienza della «morte nera» (bloccato in un cunicolo, conosce la lenta agonia dell'abbandono, dell'asfissia graduale, delle speranze di salvataggio a lungo deluse) e una «ragazza in vetrina», Else, adattatasi al tristo mestiere di prostituta dopo un'infanzia desolata e lo sterminio dei familiari da parte nazista : una storia trita, indubbiamente, e che ci riporta ai mille amori «proibiti» o impossibili di tanta letteratura cinematografica. Emmer è riuscito tuttavia a rendercela psicologicamente plausibile e umanamente accettabile grazie a una serie di sfumature, di piccoli contrasti, di notazioni accuratamente valorizzate: a dare un significato insomma, che per il regista può forse risiedere unicamente nel risolto tentativo di una possibilità di dialogo fra due individui che – eludendo il «sistema» che forzatamente li accosta, volendo mantenerli tuttavia estranei, «nemici» – si scoprono interpreti (e vittime) di una medesima condizione, ma che riporta lo spettatore alle radici, al problema di fondo della condizione stessa. L'«amore puro», cui abbiamo polemicamente accennato, diventa in tal modo amore senza aggettivi, cosa dell'uomo e delle sue vicende, dei suoi incontri con il prossimo, del suo perenne sforzo a risolversi anche quando egli sembri desistere e accettare lo status quo (mentre «amore puro», in questa accezione, resta, e per molti sensi, il rapporto cosí definitosi fra il Lorenzo e l'Aida de La ragazza con la valigia). E ciò, a dispetto delle adirate proteste dei benpensanti, scandalizzati da tanto «abominevole connubio», e della loro gesuitica morale che – almeno in parte – ha ispirato le persecuzioni censorie.
Nonostante la sproporzione quantitativa, l'economia del film pare tuttavia rivolta con maggior misura e credibilità al rapporto parallelo, quello che da anni si consolida fra l'altro minatore, Federico, e Corrie. Meno giovani, più concreti esperti e amari, i due testimoniano infatti del raggiungimento di un «ménage» quasi familiare, che della vita coniugale ha le burrasche e le pacificazioni, senza risultare per questo logoro o banale. È il sintomo di una condizione accettata, ma non priva di rancori o meglio di consapevolezze, che se vale a rendere consueta una situazione di per sé «difficile» – la promiscuità continuata fra un lavoratore e una prostituta, – riesce per altro a far risaltare ancora maggiormente la tragicità di un particolare tipo di esistenza umana, abbandonata a se stessa dall'incuria dei governanti e dei reggitori (quando non accortamente sfruttata), dove – a discrezione degli individui – possono rivelarsi i peggiori istinti o depravazioni come le piú oneste e sincere dimostrazioni di umanità e affetto. (E si vedano le belle scene del week-end al mare, lasciate per la quasi totalità al linguaggio delle immagini: come del resto accade per il rullo dedicato alla «tragedia della miniera» – il confronto con Pabst è inevitabile, ma, e proprio sul piano dell'espressione, non si risolve del tutto a suo vantaggio. Né è vero che il cosiddetto «pezzo di bravura » – quello cioè della discesa nei pozzi, dello scavo, del susseguente incidente – venga stemperato nocivamente ed evasionisticamente dall'avventura domenicale. È vero semmai il contrario: quella che poteva restare un'abile esercitazione formalistica viene riattivata da una piú profonda comprensione dei rapporti umani e d'amore, a giustificazione degli stessi). La conclusione infine, con la decisione di Vincenzo di restare nella «mina», può essere variamente interpretata : ci sembra però che vada intesa come un positivo approdo del giovane alle ragioni della lotta per la sopravvivenza e oltre; e poco importa che sia la presenza di una tale ragazza a determinare questo in lui, quando la soluzione piú auspicabile venga raggiunta. (...)
Lorenzo Pellizzari, Cinema Nuovo n. 152, 7-8/1961

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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