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Tulpan - Tulpan


Regia:Dvortsevoy Sergey

Cast e credits:
Sceneggiatura: Sergey Dvortsevoy, Gennadi Ostrovsky; fotografia: Jolanta Dylewska; montaggio: Isabel Meier, Petar Markovic; scenografia: Roger Martin; costumi: Gaziza Korshiyeva; interpreti: Askhat Kuchencherekov (Asa), Ondas Besikbasov (Ondas), Samal Esljamova (Samal), Tulepbergen Baisakalov (Boni), Bereke Turganbayev (Beke), Nurzhigit Zhapabayev (Nuka), Mahabbat Turganbayeva (Maha), Amangeldi Nurzhanbayev (padre di Tulpan), Tazhyban Kalykulova (madre di Tulpan), Zhappas Zhailaubaev (capo), Esentai Tulendiev (veterinario); produzione: Pandora Film-Cobra Film-Pallas Film-Producer's Company Slovo-Kaz Export-Filmcontract-Zdf-Arte; distribuzione: Bim; origine: Germania-Svizzera-Kazakhistan-Russia-Polonia, 2005; durata: 100’.

Trama:Finito il servizio militare, il giovane Asa torna dai suoi familiari, pastori nomadi, che vivono nella steppa del Kazakistan. Per diventare a sua volta pastore, il ragazzo deve trovare una moglie e la scelta cade sull'unica ragazza nubile disponibile nella steppa, Tulpan, figlia anche lei di pastori. Tuttavia, lei lo rifiuta a causa delle sue orecchie ma Asa decide di non darsi per vinto...

Critica (1):Se c'è una piccola certezza, alquanto inedita, fornita dall'ultimo Festival di Cannes è quella di una continuità evidente tra i gusti del pubblico-critica e quella delle giurie. L'entusiasta accoglienza tributata al buon Tulpan di Sergei Dvortsevoy (forse eccessiva) si è tramutata difatti nel premio Un Certain Regard. Ancora un'opera alle prese con la lontananza, registrata con secchezza e ironia attraverso il racconto di un ritorno in Kazakhistan da parte di Asa, reduce dal suo servizio in marina. Il ritorno nella steppa, dove la sorella trascorre una vita nomade con suo marito, è traumatico ma alleviato dalla possibilità di fuggire previa il matrimonio con Tulpan, figlia di un pastore e desiderosa di fuggire in città ad Alma Ata. Speranza vanificata dalle grandi orecchie di Asa che ripugnano la giovane ragazza, ma che non impediscono a Asa di contrastare i voleri del capo famiglia.
Dvortesevoy fa sentire tutta la sua abilità descrittiva, valorizzando nel migliore dei modi il fuori campo insito nell'alterità. La steppa, i montoni, l'orizzonte, la polvere, i continui canti, l'isolazionismo di questa famiglia, i loro rituali e i loro contrasti sono materiale narrativo sufficiente per un forte coinvolgimento emotivo. La presunta innocenza della vita nomade e pastorizia, fatta di valori solidali, compromessi con la natura e rigida divisione sociale del lavoro, è raccontata attraverso la sapiente modulazione dei registri narrativi, sempre in bilico tra accenti da commedia nera e un solido documentarismo, figlio della formazione di Dvortesevoy, precedente a questo lungometraggio di finzione. Un cinema che sembra istintivo e perfino naif, ma che in realtà è pensato in ogni dettaglio, per restituire quelle sensazioni tattili e ipnotiche che fanno la forza del film, ma che portano troppo lontano il pensiero.
Come gran parte della produzione autoriale del Far East, specie di quella cinese, Tulpan vive della radicata contrapposizione tra un modello di vita agricolo e la spinta verso una modernità sconosciuta ma dotata di una grande portata attrattiva. All'interno di questo solido schema, in cui Asa rappresenta la spinta verso l'esterno, Tulpan si dimostra capace di un umanesimo ricco e contagioso, in tutte le figure umane tratteggiate. Eppure, quel finale che tante lacrime ha sollecitato, si fa portatore di un punto di vista probabilmente sincero ma tutt'alto che coraggioso, in piena eredità con il fardello culturale del passato sovietico.
Adriano Ajello, movieplayer, 26.05.2008

Critica (2):È stata una sorpresa gradita la visione di Tulpan che, sceneggiato dallo stesso regista con Gennady Ostrovskiy, ci offre uno sguardo naturalistico, quasi da documentario, sull’esistenza faticosa, senza speranze di cambiamento, dei pastori della desertica steppa del Kazakistan, una zona in cui la più vicina città è a 500 chilometri di distanza.
In questa cornice realistica – i personaggi, tranne i protagonisti, sono veri pastori nomadi, e gli attori hanno vissuto con loro, nella stessa tenda, per un lungo periodo – innesta la vicenda personale di un povero marinaio sognatore, indeciso tra la vita tradizionale nella steppa e l’attrattiva costituita da una nuova esistenza nella città.
La realtà "fuori dal tempo" dei pastori nomadi è filmata con un occhio partecipe, che ne registra, senza retorica, la presunta innocenza e ingenuità, nella malinconia di un mondo destinato al declino e alla scomparsa, un piccolo universo fatto di valori tramandati, tradizioni, leggende e riti. Di contro, la lontana città è una meta di attrazione e timore, pensata e sognata dai protagonisti spesso con una visione molto distante dal vero, di modernità e civiltà illusorie, in cui la speranza di guadagnare cozza contro la disoccupazione senza via d’uscita.
Splendida fotografia di un nulla fatto di distese senza fine, polvere sollevata, mandrie, tende nella steppa desertica: Sergey Dvortsevoy ci fa sentire e respirare la sua patria, cura ogni immagine e ogni inquadratura, che paiono "solo" registrazioni della realtà, con un’attenzione per i particolari e i dettagli minuziosissima.
Giulia Baldacci, filmup.leonardo.it

Critica (3):

Critica (4):
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