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Schivata (La) - Esquive (L')


Regia:Kechiche Abdellatif

Cast e credits:
Soggetto
: Abdellatif Kechiche; sceneggiatura: Abdellatif Kechiche, Ghalya Lacroix; fotografia: Lubomir Bakchev; montaggio: Antonella Benveja, Ghalya Lacroix; scenografia: Michel Gionti; costumi: Maria Beloso-Hall; interpreti: Osman Elkharraz (Krimo), Sara Forestier (Lydia), Sabrina Ouazani (Frida), Nanou Benhamou (Nanou), Hafet Ben-Ahmed (Fathi), Aurelie Ganito (Maglie), Carole Franck (professoressa di francese), Ha-jar Hamlili (Zina), Rachid Hami (Rachid), Meryem Serbah (madre di Krimo), Ha-nane Mazouz (Hanane); produzione: Lo-la Films, Noe Productions, Ciné Cinemas; distribuzione: Mikado; origine: Francia, 2003; durata: 117’.

Trama:Per amore di Lydia, Crimo cerca di avere la parte di Arlecchino nella recita scolastica tratta da Marivaux. Ci riesce, ma poi è impacciato e paradossalmente, vista la maschera, “incolore”. Intanto, sul palcoscenico della vita, incroci, sproloqui, contaminazioni: ragazzini e ragazzine beur che giurano “sul Corano della Mecca”, sinofrancesi di prima generazione, sbirri incattiviti dai luoghi, refurtiva e droga, “l’odio” che impregna l’ambiente.

Critica (1):Abdellatif Kechiche è un tunisino naturalizzato francese che da anni fa cinema in Francia. Il suo primo lungometraggio, «Tutta colpa di Voltaire», premiato a una Mostra di Venezia, affrontava con impegno civile la condizione spesso difficile degli emigrati maghrebini, dando ampio rilievo all’indagine sociale. Oggi rimane a contatto con quei maghrebini nelle loro consuete cornici alle periferie di Parigi, ma vi privilegia in mezzo solo la storia di un innamoramento. I personaggi, perciò, sono tutti adolescenti, hanno famiglie abbastanza agiate alle spalle e frequentano una scuola dove si insegna anche a recitare: per uno spettacolo di fine anno che porterà in scena «Il Gioco dell’amore e del caso» di Marivaux. Uno spettacolo cui il giovanissimo Krimo si affida per dichiararvi il suo amore per la bionda Lydia che, superficiale e svagata, non riesce ad accostare in altro modo. Le prove, perciò, i costumi settecenteschi, il difficile e contraddittorio rapporto fra i due, infiorettato dagli arabeschi di Marivaux e, attorno, gli amici e le amiche della loro stessa età, divisi fra partecipazione, equivoci, gelosie. Lydia, però, troppo frivola, non è la ragazza per Krimo, timido e riflessivo, alla fine, così, come curiosamente avverte il titolo, riuscirà a «schivarla». Tutto come dal vero, con psicologie però analizzate con finezza e con dialoghi autentici che sembrano improvvisati da interpreti egualmente sincerissimi con la stessa immediatezza di certi film di Rohmer di cui sembra di ascoltare qualche eco. Mentre il «gioco» con Marivaux aggiunge grazia e gentilezza a una cornice di facce e di gesti fatti scaturire dalle pieghe di una cronaca che un solo momento si increspa (per citare, con polemica implicita, uno scontro con una manesca polizia). Un «piccolo» film, ma perfetto. Da accogliere con simpatia.
Da Il Tempo, 12 Febbraio 2005

Critica (2):È tipico del cinema estremizzare lo sguardo sulla realtà. Succede anche nella vita quotidiana (il palcoscenico della politica ne è un esempio lampante), quando per esprimere un parere si antepone l’effetto al contenuto. Così, se pensiamo al contraddittorio universo adolescenziale ci vengono in mente spaccio, pasticche, a-busi sessuali, violenza, guerriglie urbane, mentre, salendo i gradini della scala sociale, si passa ad abiti firmati, sms, feste esclusive, shopping, arrivismo e apparen-za. Abdellatif Kechiche riesce ad evitare tutto questo e a raccontare i giovani u-scendo dalla gabbia dello stereotipo. L’ambiente è quello della periferia di Parigi, con una scenografia di enormi palazzoni tutti uguali e una commistione di etnie diverse non per forza inconciliabili (spesso i ragazzi, non solo musulmani, per sostenere la verità di quanto affermano, giurano sul Corano e non sulla Bibbia). La sceneggiatura si sofferma su un gruppo di compagni di classe che stanno preparando la rappresentazione teatrale de Il gioco dell’amore e del caso di Ma-rivaux per lo spettacolo di fine anno scolastico. Anche il perno narrativo del teatro, come specchio della realtà e via di fuga dal grigiore del presente, viene utilizzato in modo originale. Non c’è spazio nella visione di Kechiche per pistolotti edificanti o personaggi cui basta una recita per trovare il proprio posto nel mondo, oppure, forse sì (la terapia del teatro come ghiotta opportunità di uscire da se stessi è innegabile) ma non è solo questo il punto. Il punto è il tentativo di rappresentare i giovani così come sono, con i dubbi, le angosce, le indifferenze, le spa- valderie, l’arroganza, l’egocentrismo, la rabbia, ma anche i sentimenti, la dolcezza, l’ingenuità. Le difficoltà di crescere in un ambiente familiare problematico e privo di stimoli, al di là della sopravvivenza, non volano alto trovando soluzioni esistenziali fuori dalla portata dei personaggi, ma cercano la verità nel linguaggio e negli atteggiamenti. La macchina da presa sta addosso ai giovani attori e la regia alterna in modo nervoso primi piani sempre più ravvicinati, che trasmettono l’irrequietezza degli stati d’animo e consentono di entrare in contatto con il disagio di un’età terribile, in cui scoperte e consapevolezze si fondono con complessità. Strepitosi gli interpreti e intensi i dialoghi, spesso ripetitivi (come la maggior parte delle conversazioni del resto) ma con la chiara funzione di amalgamare la spontaneità della vita con la finzione cinematografica.
Luca Barboncini, Gli spietati

Critica (3):

Critica (4):
Abdellatif Kechiche
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