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Still Alice


Regia:Glatzer Richard, Westmoreland Wash

Cast e credits:
Sceneggiatura: Richard Glatzer, Wash Westmoreland, dal romanzo omonimo di Lisa Genova; fotografia: Denis Lenoir; musiche: Ilan Eshkeri; montaggio: Nicolas Chaudeurge; scenografia: Tommaso Ortino; arredamento: Susan Perlman; costumi: Stacey Battat; effetti: Lucien Harriot, Mechanism Digital; interpreti: Julianne Moore (Prof. Alice Howland), Kristen Stewart (Lydia Howland), Alec Baldwin (John Howland), Kate Bosworth (Anna Howland-Jones), Hunter Parrish (Tom Howland), Seth Gilliam (Frederic Johnson), Shane McRae (Charlie Howland-Jones), Stephen Kunken (Dott. Benjamin), Erin Darke (Jenny), Daniel Gerroll (Eric Wellman), Zillah Glory (Masha), Caridad Martinez (Elena), Nicole Rajchel (Alice giovane), Kristin Macomber (Anne), Cali T. Rossen (Leslie), Victoria Cartagena (Prof. Hooper); produzione: Big Indie Pictures, Killer Films, distribuzione: Good Films; origine: Usa, 2014; durata. 99’.

Trama:La cinquantenne Alice Howland ha un ottimo impiego come professoressa di Linguistica presso la Columbia University, è felicemente sposata con il marito John e ha tre figli che l'adorano. Improvvisamente, in occasione di una Lettura presso la UCLA, Alice - proprio lei! - inizia a dimenticare alcune parole. Ben presto, a questo primo evento altri ne seguono e Alice, convinta che si tratti di un tumore al cervello, senza dire nulla al marito e ai figli decide di fare una serie di accertamenti. La diagnosi si rivelerà devastante e metterà a dura prova l'esistenza della donna e i suoi legami familiari: Alzheimer precoce...

Critica (1):Tratto dal romanzo di Lisa Genova, il film racconta l'abisso della malattia in cui sprofonda una professoressa universitaria (interpretata da una superba Julianne Moore), cui viene diagnosticata una forma precoce di Alzheimer. Il fatto che sia una donna ben istruita, perlopiù insegnante di linguistica, e che venga colpita dal morbo a un'età in cui non dovrebbe (Alice ha appena compiuto 50 anni), distingue in parte questo dramma da altre declinazioni "senili" sul tema, come Away From Her di Sarah Polley e Amour di Michael Haneke.
Inoltre, a differenza di quest'ultimi due che ponevano l'accento sulle ricadute relazionali della malattia, nel film di Wash Westmoreland e Richard Glatzer il focus è interno, l'ottica spostata principalmente sulla protagonista mentre cerca prima di comprendere, poi di venire a patti, infine di "sottrarsi" a un male terribile e mortificante che, come spiega la donna alla figlia Lydia, "a poco a poco ti strappa via da te stessa".
La scelta di Westmoreland e Glatzer finisce inevitabilmente per sacrificare un côté familiare vagamente esplosivo (sotto sotto covano egoismi, rivalità e gelosie) e per ridurre lo spazio dedicato ai suoi membri, tutti potenzialmente interessanti e interpretati da ottimi attori (Alec Baldwin, Kate Bosworth, Hunter Parris e – soprattutto – Kirsten Stewart, sempre più brava), ma si rivela efficace non solo perché ci dice qualcosa di più sulla malattia, ma perché con un'attrice come la Moore, in questo stato di forma, l'Alzheimer stesso diventa co-protagonista.
Il film utilizza una specie di soggettiva sdoppiata: la Alice sana, quella di un tempo, osserva la Alice di ora, sempre più assente e irriconoscibile. Funzionale in questo processo di focalizzazione l'uso insistito degli specchi – in cui l'identità si duplica e a volte si triplica – e quello della tecnologia, con la protagonista che usa il proprio smartphone o il pc per lasciarsi dei messaggi che la aiutino a ricordare.
Il progressivo scivolamento di Alice nello spazio bianco dove si cancellano parole, significati e ricordi, avviene senza la temuta enfasi melodrammatica, grazie a una messa in scena e a una performance oltremodo misurata. Ciò non impedisce a Still Alice di spaccare il cuore e alla sua magnifica interprete di bussare forte alla porta dell'Academy, nei confronti della quale la Moore vanta già un credito enorme: dopo quattro nomination andate a vuoto, questa non è solo la volta buona. Deve esserla.
Gianluca Arnone, cinematografo.it

Critica (2):Still Alice è un film costruito interamente intorno al primo piano del volto di Julianne Moore: in numerosissime occasioni i due autori decidono di rinunciare completamente al controcampo delle sequenze di dialogo, e così al consorte Alec Baldwin non rimane che comparire di quinta, recitando con la nuca agli angoli di un'inquadratura (eloquente in questo la scena della rivelazione notturna a letto, in cui Baldwin rimane disteso per non “impallare” l'assolo di Julianne Moore) consacrata in maniera assoluta alla perfomance della fenomenale attrice.
Ridimensionata la figlia disubbidiente Kristen Stewart a faccia nel display di una videochiamata skype (dunque un altro controcampo annullato), la nostra Alice affronta anche il primo appuntamento dal medico, che le diagnosticherà poi una rara forma di Alzheimer precoce, in un piano sequenza a camera fissa sulla donna, che non permette a noi di vedere il volto della voce del dottore, che resta fuoricampo, e a lei di prendere fiato e aria durante il terribile interrogatorio mnemonico-cognitivo.
Una volta capita l'antifona, resa eloquente anche dalle prime esperienze di spaesamento spaziale di Alice in cui la mdp gira vorticosamente intorno alla protagonista e tiene fuorifuoco tutto il resto degli elementi in scena (alla macchina l'abituale collaboratore di Assayas, Denis Lenoir, sempre acutissimo), ci si rende anche conto che Still Alice è davvero la storia di una donna abituata ad essere il perno, il centro dell'attenzione di tutti e sul lavoro (è una brillante accademica della Columbia University che tiene lezioni appassionate e applauditi convegni) e in famiglia, dove è il punto di riferimento del marito e dei tre figli.
La malattia la costringe a lasciare la ribalta, ad assumere una posizione defilata, ai lati dell'esistenza dei suoi cari (Baldwin e la figlia maggiore Kate Bosworth e le loro carriere sulla rampa di lancio...): è questo quello che Alice, e la sua memoria d'infanzia in super8, non riesce ad accettare più di tutto (non a caso sarà raggiante della possibilità di esibirsi in un altro monologo di bravura, quando preparerà il discorso per la serata di raccolta fondi sull'Alzheimer).
È vero, l'aspetto maggiormente inedito del film è l'analogia crudele tra gli studi di linguistica in cui è specializzata Alice, e la perdita graduale ma inarrestabile delle capacità comunicative a cui la costringe la malattia: donna colta e intelligente, Alice mette in moto una serie di trabocchetti mentali contro il proprio cervello, per evitarne il più possibile la deriva.
Peccato che l'altra intuizione, quella ovvero di legare questa battaglia alle possibilità offertaci oggi dalla tecnologia portatile, resti soltanto abbozzata: Alice usa il suo smartphone come stimolo continuo, promemoria sempre a portata di mano e esercizio costante con le parole e i giochi combinatori.
Non a caso, la sua situazione precipita proprio nel momento in cui Alice non riesce più a trovare il suo telefono: Glatzer e Westmoreland sono talmente bravi a non spingere sul pedale del patetico (…), che la crisi isterica della donna in reazione alla scomparsa dello smartphone potrebbe quasi essere la sequenza più drammatica di tutto Still Alice.
sentieriselvaggi.it

Critica (3):

Critica (4):
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